Il Cuore di Eric Clapton #2

Dopo aver approfondito il periodo 1970-1985, Alessandro Vailati prosegue l’appassionante viaggio nella produzione di Clapton concentrandosi questa volta sulla parte centrale della sua carriera. È una fase cruciale per Eric, il cui songwriting si dimostra legato a doppio filo con la sua esistenza, tra cadute, rinascite, blues, colonne sonore e canzoni magistrali, alcune inserite nella setlist dei recenti concerti italiani.

Il cuore di Eric Clapton (1986-1999)

La Musica come rifugio

Eric non permette mai al cervello di mettersi in mezzo tra il suo cuore e le sue dita”. <<<Glyn Johns, produttore di diversi album di Clapton negli anni Settanta e del recente I Still Do, 2016>>>

Da quando sono tornato sobrio, mai una volta ho pensato seriamente di bere o drogarmi. Non ho problemi con la religione, e sono sempre stato curioso e interessato ai temi spirituali, ma la mia ricerca mi ha allontanato dalla chiesa e dal culto in comunità, per spingermi a un viaggio interiore. Prima di iniziare la guarigione, avevo trovato il mio Dio nella musica e nelle arti, con autori come Hermann Hesse, e musicisti come Muddy Waters, Howlin’ Wolf e Little Walter. In un certo senso, in una qualche forma, il mio Dio era sempre là, ma adesso ho imparato a parlargli.” <<<Tratto dall’autobiografia, 2007>>>

Grattando la superficie, sembra tutto uguale; un mondo pieno di rabbia senza nessuno da incolpare. Ma a chi posso rivolgermi? Chi ha la chiave? E chi ha la risposta? Credo che sia dentro di me.” <<<Da Inside of Me, traccia 14 di Pilgrim, 1998>>>

Ci siamo lasciati, nell’articolo precedente, all’epoca della pubblicazione di Behind the Sun, album carico di tormenti reconditi in cui Clapton prova a guardare dentro di sé per cercare le risposte a tutte le sue insoddisfazioni. Sarà un percorso lungo e a tratti tragico, però la sua straordinaria forza interiore, che nemmeno lui in verità conosceva, lo porterà al riscatto e alla redenzione. La musica rimane sempre al centro del suo cuore, l’insegnamento dei maestri del blues e l’urgente bisogno di trovare un perché alla sua vita produrranno altri quindici anni di canzoni meravigliose di cui ci occuperemo, cercando di valorizzare quelle autografe e un po’ meno conosciute, ma altrettanto pregne e dense di significato.

Il 1986 è ricco di avvenimenti e ispirazione per Eric che, come suo solito, trae linfa dalle vicissitudini personali per comporre musica. Il tira e molla con Pattie Boyd prosegue e a questa situazione il chitarrista inglese riserva anche un brano, Tearing Us Apart, peraltro tornato in auge nel recente tour del 2022, utilizzato come opener. “Lo sapevo fin dall’inizio, le tue amiche ci stanno separando”, canta in duetto con Tina Turner, riferendosi al “comitato”, il gruppo di amiche della moglie che il musicista incolpa di essersi messo tra loro. In realtà, con il tipico egoismo maschile, Clapton sorvola su un particolare tanto bello quanto doloroso. Ha una relazione e aspetta un figlio da un’altra, l’italiana Lory Del Santo, per cui scrive pure la rockeggiante Lady of Verona che, tuttavia, viene esclusa dalla scaletta del nuovo album in uscita a fine novembre. August, scelto come titolo all’ultimo momento in onore della nascita di Conor, contiene anche la struggente ballata Holy Mother, dedicata all’amico fragile Richard Manuel, colonna portante di The Band suicidatosi a marzo in preda a depressione e fantasmi del passato, e diventa fra i dischi con maggior successo commerciale della carriera, aiutato nuovamente dalla produzione di Phil Collins, questa volta in associazione con una vecchia conoscenza del mondo claptoniano, Tom Dowd, lo storico personaggio dietro alle bobine di Layla.

Uno dei pezzi forti dell’LP, oltre alla potente e ispirata Miss You, è sicuramente It’s in the Way That You Use It, ideata a quattro mani con Robbie Robertson, altro leader di The Band,e inclusa pure nella colonna sonora de Il Colore dei Soldi, con Paul Newman e Tom Cruise.

Per il film avrei preferito avessero scelto il classico di Bobby Bland che avevo reinterpretato, It’s My Life Baby, invece hanno optato per il motivo creato da me e Robbie. Ma quell’altro era il migliore.” <<<Tratto da “Eric Clapton Day by Day”, Marc Roberty>>>

Ancora una volta emergono ritrosia e umiltà nell’evidenziare le proprie doti compositive. It’s in the Way That You Use It, nonostante risenta un poco degli arrangiamenti “plastificati” degli Ottanta, è di gran livello e presenta due bellissimi assoli, peccato sia stato eseguita davvero raramente negli show live dall’artista e solo in quel periodo. L’interesse per la pellicola e per tutto ciò che concerne le Serie Tv e il cinema si fa sempre più forte per l’autore di Wonderful Tonight, e dopo la prima proficua collaborazione con il Maestro Michael Kamen per The Edge of Darkness (1985), segue la stesura della soundtrack per Arma Letale, ma soprattutto quella dell’original score per Homeboy, stralunato e dimenticabile film con Mickey Rourke. La musica di Clapton è invece memorabile e lascia il segno per bellezza delle armonie e varietà nell’utilizzo delle chitarre, in particolare il Dobro. Travelling East, Ruby, Country Bikin’ e la title track sono strumentali da brividi e meritano di entrare nel microcosmo delle meraviglie nascoste del nostro.

Travelling East

Journeyman esce a fine ’89, in circostanze abbastanza serene, finalmente senza troppi nuvoloni all’orizzonte: Eric è un padre felice -pur con tante pecche e maceranti spaesamenti sentimentali- di nuovo all’apice del successo, è in previsione un esaltante tour mondiale e si sente ispirato come non mai. Fanno parte dell’opera l’arcinota Old Love, uno dei più bei blues moderni, concepita insieme a Robert Cray e la sottovalutata Bad Love -da lui sbrigativamente definita come il tentativo di concepire a tavolino, freddamente, una nuova Layla, basandosi su un riff e un coro-, che riceve ottimo airplay e viene regolarmente suonata negli show all’epoca per poi essere ingiustamente accantonata nelle successive scalette e fino ad oggi mai più interpretata. Due brani al solito molto personali, che riprendono rispettivamente il tema della passione mai sopita per Pattie, “Vecchio amore, lasciami solo” e, con sincerità e un pizzico di ingenuità, incensano la nuova relazione con Lory -in realtà già in dirittura d’arrivo- ,“E ora vedo che la mia vita è stata così triste, con tutti i mal di cuore che ho avuto prima di te…”.

Il momento è di quelli cruciali per Clapton, che si è da poco completamente disintossicato da alcool e droghe, principalmente per la cosa più vera che gli fosse stata regalata dalla vita: Conor.

Era davvero un piccolo angelo, un essere divino.” <<<Tratto dall’autobiografia, 2007>>>

La tragedia di Marzo ’91, che tutti conosciamo e per la quale si fatica a trattenere le lacrime tutt’oggi, diventa il banco di prova per il nuovo uomo Eric Clapton, che dopo mesi di sconforto evita di ricadere nell’abisso delle sostanze e trova la forza di riabbracciare la chitarra, come se questa fosse quel suo meraviglioso figlioletto perso e decide di vivere per lui, nel ricordo di quanto gli avesse salvato l’esistenza e nell’accettazione fiduciosa di ciò che sarebbe venuto a venire.

Mi era stato dimostrato quanto fosse fragile la vita e, stranamente, questo mi aveva in qualche modo rinfrancato, come se la mia impotenza fosse diventata fonte di sollievo.” <<<Autobiografia, 2007>>>

Eric grazie al rifugio nella musica riesce a riprendersi, ma è un percorso lungo e doloroso. Tutta la sofferenza, tutto il suo cuore frantumato finiscono in una manciata di canzoni scritte con la chitarra acustica e proprio un’attività coltivata in maniera continuativa di recente, la scrittura di colonne sonore, giunge nel tempo appropriato. Una delle sue composizioni più celebri, la struggente Tears in Heaven, fa parte della soundtrack di Rush, in italiano Effetto Allucinante, film di Lili Zanuck: narra la vicissitudine vera di una donna, agente in borghese della narcotici, che diventa a sua volta tossicodipendente. In tal modo accanto a una serie di composizioni strumentali di una bellezza da far venire i brividi, perfette per inquadrare la storia, si aggiunge un brano che parla anch’esso di una perdita, in questo caso ancora maggiormente devastante di quella della propria vita per la droga: la perdita di un figlio, la cosa più contro natura, tempo e spazio che possa esistere. E così una forma nobile d’arte, la canzone popolare, si fa veicolo di sofferenza, spinge a pensare a questo incubo, a un padre cui viene strappato il suo cucciolo d’uomo per colpa di una fatalità, un destino beffardo e ineluttabile che quanto ha concesso prima se lo riprende poi con gli interessi.

Anche la meno conosciuta Help Me Up, inclusa nella raccolta a complemento, è notevole. Si tratta di un superbo rock dal riff uncinantecapace di toccare placidamente le corde dell’anima. Clapton riesce a mantenere lo sguardo lucido, pur con profonda commozione, sul mondo interiore dei sentimenti, suggerendo alle coscienze che, nella vita, c’è tanto dolore, personale e universale, e il mondo dei sofferenti è, purtroppo, il più popolato, ma che esiste sempre una via d’uscita alle situazioni più tormentate, basta avere fede, qualunque cosa questa parola possa significare: “Non so dove stiamo andando, ma credo che inizieremo di nuovo. E proprio per dimostrare che dico sul serio, tesoro, questo è il mio cuore, aiutami ad alzarmi, non lasciarmi cadere. Mi sveglierò in paradiso, non nella fredda terra.”

Help Me Up

Eccolo di nuovo, il cuore di Eric Clapton, un cuore che, pochi mesi dopo, gli concede fermezza per affrontare con convinzione la trasmissione di MTV Unplugged; il blues, origine della sua passione, e una manciata di canzoni autografe rendono speciale e unica quell’apparizione. Il disco che viene pubblicato ad Agosto 1992 macina milioni di vendite e mezza dozzina di Grammys , nonostante i soliti dubbi iniziali sull’effettiva validità dell’operazione. La rinascita, la risurrezione dopo che tutto sembrava perduto. Una canzone in particolare, scritta nel periodo tremendo appena dopo la morte di Conor, evidenzia appieno la continua crescita compositiva del chitarrista inglese: si tratta della toccante Lonely Stranger, pacata riflessione sull’insopportabile tristezza e la lacerante solitudine attraversate dopo la disgrazia e allo stesso tempo tenace tentativo di risolutezza per proseguire il proprio percorso nonostante quanto accaduto: “Quando cammino, restate indietro; non avvicinatevi a me, perché finirà sicuramente in lacrime, quindi lasciatemi stare. Qualcuno dirà che non sono buono, forse sono d’accordo. Date un’occhiata e poi andate via. Per me va bene così. Perché qui sono un estraneo solitario, ben oltre il mio giorno. E non so cosa stia succedendo, quindi me ne andrò per la mia strada…”.

Commovente, intensa e delicata insieme.

Lonely Stranger

Al centro di tutto vi è sempre Conor. La sua esistenza e poi la terribile e inspiegabile disgrazia hanno redento Eric Clapton, sono state un’insostenibile esperienza da cui è riuscito a trarre un grande insegnamento, a trovare un valore universale, la salvezza. A mano a mano che il tempo scorre, cercando di passare oltre tale sofferenza, Slowhand riesce a riprendersi la sua di vita, naviga a vista per trovare una ragione e, proprio come nelle ultime righe di Lonely Stranger, “se ne andrà per la sua strada”. Il successo incontenibile di Unplugged gli dimostra che è arrivato il tempo di seguire ancora ciò che gli suggerisce il cuore, senza compromessi, e pubblica l’album che ha sempre sognato di fare, From the Cradle, meraviglioso tributo ai suoi Maestri Blues, a cui deve tanto e grazie ai quali da giovane si è sentito meno “estraneo solitario”.

Realizzato sul finire del ’94, From the Cradle continua il momento d’oro dal punto di vista artistico e commerciale ed è importantissimo anche per l’uomo Clapton, ora sempre più sicuro di se stesso, che riesce con inaspettato vigore, negli anni successivi, a staccarsi dal manager Roger Forrester, padre-padrone fin dai “drunken years”. Una svolta crudele, ma doverosa, in virtù della possibilità di poter decidere finalmente in proprio cosa sia giusto per il futuro.

Avevo detto al mio amico, il leggendario batterista Steve Gadd, che volevo fare il disco più triste di tutti i tempi.” <<<Autobiografia, 2007>>>

Pilgrim vede la luce a marzo ‘98 e già nel titolo e nella conseguente title track ribadisce l’immagine autobiografica di un tipo solitario in ricerca. Vengono recuperate due straordinarie canzoni del periodo di Unplugged, My Father’s Eyes e Circus Left Town, ora abbreviata in Circus, escluse dalla tracklist di allora in quanto ritenute esitanti. La prima subisce diverse evoluzioni, e da gemma acustica diventa ballata rock nelle esecuzioni live del ’92; ora si trasforma in un reggae, forse nel tentativo di far evaporare la disperazione. Il testo è molto intenso e stabilisce un parallelo tra gli occhi del figlio e quelli del padre mai conosciuto. Circus varia anch’essa di molto dalla struggente iniziale interpretazione. Il ritmo è più veloce, ma la voce e il cantato tradiscono lacrime infinite. Pure qui si evidenzia una metafora, tra l’ultima sera passata al circo insieme a un Conor esaltato, entusiasta e felice, come spesso capita quando si è bambini, e il circo della vita di Clapton, rappresentato proprio dal figlio…adesso quella parte della sua esistenza, proprio come lo spettacolo conclusivo a cui avevano assistito, ha mestamente lasciato la città.

Il processo utilizzato dal chitarrista inglese per trovare la giusta connotazione a queste tracce e alle altre presenti in scaletta, è quello di architettare una produzione minimale, perseguendo la teoria del “less is more”. Vengono studiate scorciatoie elettroniche, sulla falsariga dell’esperimento/progetto T.D.F. /Retail Therapy dell’anno prima, che donano modernità e inquietudine ai vari brani, principalmente scritti di proprio pugno e profondamente intimi. A volte compaiono gli archi ad alimentare la malinconia.

River of Tears, altro fiore all’occhiello del recente tour e fra i momenti più emozionanti di The Lady in the Balcony,risulta una delle migliori composizioni: viene universalizzata la devastazione per la perdita -che sia di un familiare, di un amore o un’amicizia- con parole commoventi, nel tentativo di alleviare il lutto dichiarando sinceramente la propria desolazione e lasciando sullo sfondo un barlume di speranza. “Vorrei poterti abbracciare un’altra volta per calmare il dolore, ma il mio tempo è finito e devo andare, devo scappare di nuovo. Ancora mi sorprendo a pensare, un giorno troverò la strada per tornare qui, mi salverai dall’affogare in un fiume, dall’annegare in un fiume di lacrime”, canta con trasporto Clapton, in quel frangente ancora mesto per la dipartita del figlio e lontano da una relazione affettiva stabile, in balia di un’altra ragazza italiana, di nome Francesca che lo sta facendo letteralmente impazzire. One Chance, Sick and Tired, She’s Gone e la stessa Pilgrim, tutte scritte con la collaborazione di Simon Climie, coproduttore insieme a lui del disco,riflettono questa instabile posizione amorosa, mentre You Were There si riallaccia con affetto a Roger Forrester e affronta sempre il tema della privazione, in tal caso proprio del tramonto di un’amicizia con una persona importante per il percorso esistenziale dell’artista.

River of Tears

Pilgrim ottiene un ottimo successo commerciale, ma riceve diverse critiche dalla stampa pubblicizzata e da una parte di fan per l’eccessivo uso di elettronica. Eric viene inoltre “accusato” di risultare monotono per via degli arrangiamenti. Il tempo, generalmente, è galantuomo, e ascoltare l’intero disco ventiquattro anni dopo rimane una piacevole sensazione. Si potrebbe definire un concept album che analizza il dolore e il senso di perdita e spaesamento in tutte le sfaccettature con una sincerità incredibile. Provate a guardare gli occhi di Clapton in alcune fotografie degli anni Ottanta. Sono occhi che evocano un’immensa tristezza, che presentano il conto di una vita di solitudine ed eccessi. Occhi che indagano l’orizzonte con mille domande, sognano la libertà, o forse aspirano solo a una via di salvezza. Adesso osservate quel viso a fine millennio: è tuttora un volto dal cuore spezzato, ma, ancora una volta, rappresenta la figura di chi ha trovato la forza e la voglia di vivere nella musica.

Ecco, a tal proposito, alcuni versi di Broken Hearted, altro gioiello -da brividi il tin whistle suonato dall’amico Paul Brady!- nascosto in Pilgrim:

Per vivere bugie senza scampo, Signore, preferirei essere solo. Premo le mie dita sul legno per raccontarti i miei sogni. Per cantarti le canzoni di un tempo, per mantenere la luce dell’amore che brilla. Perché c’è un posto dove possiamo andare, dove non ci separeremo. E chi solo vi entrerà? Solo chi ha il cuore spezzato.

Inside of Me chiude magistralmente l’opera, lasciando spazio, dopo tanta tempesta, a un tiepido raggio di sole. Un timido tepore che si può scoprire solo guardando nel profondo di se stessi, è lì che giace l’immenso potere della persona.

Il millennio si conclude con un’ultima perla, (I) Get Lost, concepita come colonna sonora di The Story of Us (con Bruce Willis e Michelle Pfeiffer), insieme ad altri brani strumentali. La versione acustica fa parte della soundtrack, ma è il singolo pubblicato a colpire per il contrasto tra sonorità quasi techno in stile T.D.F. e melodie tra il dolce e il passionale. Le liriche denotano sofferenza esistenziale e lancinante smarrimento, introiettati in una relazione sentimentale in cui ci si perde, tra lacrime e apprensione; il ritratto di un’anima in pena, che ha appena scongiurato l’abisso, però ha costantemente tanto dolore da assorbire e colpe da espiare.

Sempre di questo periodo è il progetto della realizzazione di un centro di recupero per tossicodipendenti ad Antigua. Eric Clapton ci mette anima e cuore, vendendo all’asta le sue più pregiate chitarre: solo in questo modo si sente a posto con il proprio io e si riappacifica con il mondo.

Termina qui il secondo episodio di questo viaggio tra le canzoni autografe e in parte meno famose dell’artista inglese. Un artista che si è messo a nudo, senza artifizi se non la semplice tristezza di una voce e una chitarra che si insinuano sottopelle, un uomo che è rinato dopo la peggior disgrazia che gli potesse capitare.

Nel prossimo articolo incontreremo una persona cambiata, che trova l’amore della sua vita e riesce a far pace definitivamente con il passato, celebrandolo con un altro lavoro intimo e brillante, dedicato ai membri della famiglia importanti per la sua crescita, come lo zio Adrian, soprannominato Reptile, che gli ispirerà titolo e canzone.

I Momenti più belli, durante quei primi anni di sobrietà, furono quelli passati con mio figlio…Avevo visto alcune foto di mio zio Adrian da piccolo, e Conor gli somigliava molto.” <<<Autobiografia, 2007>>>

Il cerchio si chiude e comincia una nuova vita, certamente più felice, concretizzatasi, stavolta, con la formazione del proprio nucleo familiare. E qui sorge spontanea una domanda: si può mantenere una profonda ispirazione pur se “sostanzialmente” felici? Lo scopriremo presto…

Alessandro Vailati

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2 thoughts on “Il Cuore di Eric Clapton #2
  1. Mi complimento per la qualità dello scritto, delle descrizioni della storia artistica e privata di Clapton ma soprattutto per la comprensione profonda dell’animo dello stesso.

  2. Tutti i testi oltre alla stupenda chitarra di Clapton lasciano una traccia indelebile nell’animo di chi come me ascolta questo sublime narratore di storie che a volte avvolge le tempestose vicissitudini ed a volte racconta con serenità la sua vita.
    I miei complimenti a te per quanto hai descritto e per la realistica sensibilità verso questo artista che non manca negli scaffali della mia raccolta discografica.
    Grazie

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