Il Cuore di Eric Clapton #3

Terzo e ultimo articolo sull’incredibile produzione di Clapton in veste di songwriter. Alessandro Vailati ci accompagna nell’ultimo ventennio della carriera di Slowhand, mostrandoci come il chitarrista di Ripley non abbia mai smesso di incontrare e lasciarsi trovare dalla musica, anche e soprattutto nelle situazioni più difficili, e come da questo incontro sia nato ogni volta qualcosa di autentico e di salvifico.

il cuore di eric clapton

Il Cuore di Eric Clapton (2000-2022)

Il trascendente potere della musica

A quel punto (metà anni Novanta, ndr) mi feci alcune domande molto serie […] La risposta fu sempre la stessa. Per conservare quello che avevo, dovevo donarlo agli altri […] Questo è tuttora il principio fondamentale che governa la mia vita.” <<<Tratto dall’autobiografia, 2007>>>

“Cosa penso della mia voce? È sempre un po’ uno shock quando riascolto qualcosa che ho fatto, soprattutto se non mi sento da molto tempo. Devo fare una specie di cinque passi: negarlo, arrabbiarmi, poi accettarlo, poi volerlo fare e poi pensare che vada bene. Quello che posso facilmente accettare del mio canto è che so che viene dal cuore e non trovo difficile entrare in contatto con qualsiasi emozione. Riesco a cantare con i miei sentimenti con facilità e questo forse l’ho imparato suonando la chitarra. Non sono un tecnico della chitarra o della voce, ma quello che sono sempre stato in grado di fare è esprimere ciò che provo nel profondo di me.”<<<Estratto da un’intervista con David White, Guitarworld.com, 2003>>>

Non sai quanto significhi avere questa musica in me, Continuo a suonare la mia canzone, sperando di arrivare in fondo.” <<<<Da Spiral, traccia 4 di I Still Do, 2016>>>

Gli inizi del nuovo secolo delineano una raggiunta integrità e maturità per Eric Clapton. La musica è sempre il suo riferimento vitale, ma l’amore per gli altri diventa di cruciale importanza; ciò lo spinge a riconnettersi con la famiglia “allargata” con cui è cresciuto, dopo le recenti scomparse dell’adorata nonna Rose e della madre Pat – ebbe sempre, fino agli ultimi istanti prima del decesso, un rapporto di amore/odio, una situazione molto conflittuale con lei –, a desiderare di riallacciare i rapporti artistici con alcuni colleghi e amici del passato e, soprattutto, a credere che finalmente qualcosa di sincero e autentico, dopo tanti saliscendi sentimentali non sempre caratterizzati da vero interesse, possa capitargli nella sfera affettiva.

Lo straordinario Riding with the King (2000) è il primo risultato del “nuovo” Clapton: vengono rivisitati alcuni storici classici blues con il Re, nomen omen, B.B. King e, per aggiungere freschezza, si decide di inserire alcuni inediti. Un disco che rimane nel tempo, anticamera di un progetto molto più personale, una specie di concept album, che vede la luce l’anno successivo ed evidenzia ancora una volta il sottovalutato talento creativo di Slowhand. Reptile trae ispirazione da un altro evento luttuoso, la dipartita del caro zio Adrian. Dopo il funerale Eric, ora in dolce compagnia di Melia, conosciuta a una festa organizzata da Giorgio Armani, viene assalito dai ricordi. Rimembra con emozione i film e la musica che ascoltava da giovane insieme all’adorato parente, creduto per diversi anni fratello, e gli sopraggiungono nostalgia, ma anche rimorso per non essergli stato vicino quando ne aveva bisogno.

Nasce così una serie di canzoni dedicate alla sua famiglia, ed è emblematica la copertina, raffigurante una sua foto all’età circa di dieci anni, evidente intenzione di fare un salto nel passato e celebrarlo con gli occhi di adesso. Bellissimi e carichi di pathos sono i due strumentali posti sapientemente all’inizio e alla fine del disco. La title track, tratta dal soprannome dato ad Adrian,brilla grazie a un’atmosfera latineggiante, molto vicina al mood di Joao Gilberto, mentre Son & SylviaSon era l’altro nickname di Adrian e Sylvia l’amata consorte – è una ballata struggente e gode dell’armonica di Billy Preston, un ospite davvero speciale il quale, insieme agli Impressions, innalza la qualità di un’opera già indimenticabile. Sono altre due composizioni di Clapton a destare attenzione per intensità e introspezione. Find Myself riprende con malinconia il discorso affettuoso nei confronti dello zio, invece Believe in Life crea un ponte tra le memorie di un tempo e l’attualità del suo amore per Melia, ora rappresentante la sua odierna famiglia. “Quando il mondo ha visto la luce all’inizio del giorno, mi permetterai di chiamare il tuo nome, perché ti amo più della luce, e sarà sempre così, finché crederò nella vita”, sussurra Eric palesando un nuovo stato d’animo, superando il dolore e la sofferenza di Pilgrim per gettarsi speranzoso in un suggestivo lembo di vita mai sperimentato prima, con sobrietà e un vero sentimento in primo piano.

Believe in Life sottolinea la continuità compositiva di un artista ancora al picco dell’ispirazione, piacevolmente irretito dai ritmi della musica brasiliana, coniugata con lo stile rock blues che lo caratterizza ormai dall’epoca dei primi lavori solisti. Il pezzo viene definito dallo stesso autore difficile da eseguire live e fra i più belli e intensi mai scritti, ma, sebbene finisca nei soundcheck dei successivi tour, verrà eseguito dal vivo solo nel 2021, per il progetto The Lady in the Balcony, che vedrà proprio Melia, unica persona presente oltre ai musicisti e al personale di supporto, applaudirne convinta l’eccellente performance.

Believe in Life

Un fenomenale tour mondiale, definito come l’ultimo – l’annuncio di un eventuale ritiro dalle scene è avvenuto più volte fino ai giorni nostri e fortunatamente nei fatti si è sempre rivelato un bluff –, un CD doppio e un DVD dal titolo One More Car, One More Rider coronano un album che segna la fine di un’epoca, quella di un Clapton alla ricerca di maturità, stabilità e serenità.

Non serve cercare nessun altro, perché mi sentirò solo finché non troverò me stesso.” Da Find Myself, traccia 7 di Reptile.

Ora, finalmente, ha una famiglia, e, tra il 2001 e il 2005, nascono le sue splendide tre figlie, le quali, in aggiunta a Ruth, avuta da una precedente relazione nel 1985, cambiano completamente la vita fino a tal momento disordinata e solitaria del chitarrista. La musica, comunque, rimane al centro: sono di quel periodo il meraviglioso Concert for George (2002), struggente omaggio al suo compagno di mille avventure George Harrison, l’organizzazione del primo Crossroads Guitar Festival – ne seguiranno altri 4, tutti emozionanti e acclamati e si vocifera di un altro nel 2023 –e l’uscita di Me and Mr. Johnson (2004), tributo al bluesman che più di tutti lo ha influenzato, Robert Johnson. Riparte anche la stagione dei concerti, con alcuni show davvero potenti ed entusiasmanti, e una setlist piena di perle non suonate da decadi, come Got to Get Better in a Little While e Walk Out in the Rain.

E qui sopraggiunge un discorso particolare, che ci riporta alle ultime righe del precedente articolo. Può un uomo che ha trovato la forza per scrivere le sue canzoni da avvenimenti terribili, che ha vissuto il blues e visto la morte in faccia, rimanere ispirato e focalizzato ora che è felice?

Di primo acchito Back Home (2005) mantiene gli ingredienti di Reptile. Vengono inserite alcune canzoni autografe concettualmente collegate tra loro e una manciata di cover scelte con il solito gusto e tanta cura. Cambiano, però, sostanzialmente gli argomenti e, di conseguenza, la struttura dei brani concepiti. Una buona parte dei fan e della critica accoglie freddamente il simpatico rock blues di So Tired e i reggae un po’ leggeri di Say What You Will e Revolution; al loro interno, si parla di stanchezza causata dal pianto dei figli e di pannolini da cambiare, della bellezza di aver finalmente trovato, riferendosi a Melia, un’amica e un’amante, due lati di una medaglia finalmente compatibili, e dei comportamenti bizzarri di una persona che cerca una rivoluzione in ogni atteggiamento in cui si pone, temi poco consoni al chitarrista da tutti conosciuto come God, Dio.

In realtà si tratta di composizioni di buon livello, scritte a quattro mani con il collaboratore ormai fidato Simon Climie. Anche One Track Mind, entusiastica dichiarazione di quanto possa essere potente la devozione per un figlio, è accattivante, tuttavia qualcosa è mutato. In primis, probabilmente, la felicità, stato d’animo così soggettivo e difficile da raggiungere e mantenere, è argomento meno empatico rispetto all’evocazione della sofferenza e del dolore, che crea un’immediata immedesimazione dell’ascoltatore. Inoltre il fatto che, come ammesso dallo stesso Clapton, la gestazione di Back Home sia stata lunga, testimonia una difficoltà di concentrazione e ispirazione, e pure l’overproduzione sembra far perdere quell’istantaneità, quel concetto vincente di “less is more” presenti in Pilgrim. La constatazione che manchi qualcosa alle canzoni sopra analizzate lo dimostra la traccia migliore della raccolta, l’acustica title track, che invece si avvicina, nella sua semplicità mai banale, ai lavori precedenti, pur introducendo, in questo caso con profondità, ciò che adesso sta più a cuore a Eric, “Tutto quello che so è che morirò se non torno a casa”. Melodia e interpretazione sono da brividi e mettono in mostra quello che avrebbe potuto essere un’operazione interessante: spogliare ancor maggiormente di strumenti le canzoni ed esibirsi nei teatri in un “Acoustic Solo Show”, magari abbinato a un LP in tal modo concepito.

Back Home

Run Home to Me è la traccia che meglio esplicita quanto sia pacificato l’autore. Si tratta di una ballata dalle sfumature gospel dedicata a una gita in spiaggia con la moglie e le figlie, ed è l’unica a presentare nell’arrangiamento fiati e archi contemporaneamente, quasi a voler celebrare con maestosità un meraviglioso momento personale, il culmine della letizia. Forse palesa l’inizio di un appagamento, non è particolarmente originale come melodia, però incarna in maniera perfetta la nuova realtà di Slowhand. Sarà dunque peccato per un artista essere felice? Qualsiasi risposta darebbe adito a critiche, ciò che è sicuro è che l’assolo all’interno di tale pezzo è emozionante e strappa qualche lacrimuccia, non solo a Melia, in questo caso come raccontato in un’intervista dal marito.

Rimane, quindi, un dilemma il quesito posto poc’anzi e cioè accostare l’inizio di un idillio a un assopimento artistico. In effetti analizzando il periodo subito successivo potrebbe sembrare così, ma la fiamma, pur se in balia del vento, non accennerà a spegnersi completamente, come presto vedremo.

Dopo Back Home, difatti, scompaiono praticamente per anni i brani autografi, salvo rare eccezioni, in favore di dischi che privilegiano il ruolo ora divenuto preferito, nella musica, da Clapton: quello di messaggero.

Non mancano, comunque, eventi epocali. Dalla mitica reunion con i Cream (2005), a un tour mondiale che lo vede in stato di grazia in compagnia di Derek Trucks e Doyle Bramhall II.

Partimmo dall’Europa, con il maggior numero di canzoni possibile da Back Home, ma nel corso dell’anno la scaletta cambiò al punto da diventare composta con buona parte delle canzoni di Layla and Other assorted Love Songs.” <<<Tratto dall’autobiografia, 2007>>>

Lo stimolo a ricreare senza nostalgia, ma con affetto, devozione, vigore e un pizzico di modernità le magie dei tempi passati non si rispecchia solo in questo flashback del periodo Derek and the Dominos. The Road to Escondido con J.J. Cale (2007), i concerti con Steve Winwood, Jeff Beck e la partecipazione in più riprese a How to Become Clarvoyant di Robbie Robertson (2011), progetto che avrebbe potuto coinvolgerlo maggiormente in un altro frangente della sua vita, meno concentrato sugli impegni familiari, oltre al già menzionato “ritrovo” con Baker e Bruce, specificano il desiderio da parte di Eric di riavvicinarsi alle persone per lui importanti nel lungo viaggio percorso. Un’opportunità da non perdere, dato che erano ancora tutti vivi!

The Road to Escondido conferma il momento “pigro” del chitarrista britannico. Quattordici brani, di cui ben 11 scritti da Cale, una cover e solo due con lo zampino del Nostro. Three Little Girls è comunque una perla, ode acustica alle sue fanciulle suonata anche, nel 2009, un paio di volte alla Royal Albert Hall in loro presenza, e intriga pure Hard to Thrill, ipnotico rock blues alla cui stesura ha partecipato John Mayer. “Difficile emozionarsi, non c’è più niente che mi commuova davvero, non c’è nulla che possiate mostrarmi che non abbia già visto” canta Slowhand con trasporto, e sarebbe stato davvero interessante se i due avessero approfittato dei giorni passati insieme per inventar altre creazioni di tale livello. Invece Clapton (2010)e Old Sock (2013), salvo il sanguigno country blues Run Back to Your Side – curiosamente diventato sigla, in versione strumentale, di un programma RAI al sabato pomeriggio –, azzerano le tracce autografe in favore della rilettura, malinconica e di gran classe, a dire il vero, di alcuni standard jazz, blues e pop del secolo scorso. A questo materiale si aggiungono, tra gli altri, pezzi di J.J. Cale e un toccante tributo a Gary Moore.

Quando ho registrato Clapton, pensavo molto a mia nonna, a mia madre e mio zio. Sono le tre persone che più mi hanno influenzato nella vita e per cui ho cantato, sul serio.” <<<Estratto di un’intervista del 2010>>>

Ecco così il Clapton crooner, magistrale interprete di classici come How Deep is the Ocean – in cui ospita Wynton Marsalis, prima avvisaglia di una futura e corposa collaborazione con lui che porta al bellissimo live Play the Blues e Autumn Leaves, e che comunque organizza un altro tour mondiale nel 2013 ricco di chicche come Blues Power e Hello Old Friend. Un Clapton che si sente sempre più messaggero, con il tributo allo scomparso J.J.Cale nel 2014.

La voglia di mettersi in gioco in prima persona sembra sempre più vacillare, ma non si spegne. Arriva la colonna sonora per Three Days in Auschwitz, toccante documentario storico realizzato da una sua vecchia conoscenza, Philippe Mora, con alcuni strumentali interessanti e, un poco a sorpresa, in un momento di difficoltà di salute che lo costringe a utilizzare parecchio la slide, esce I Still Do (2016), ove il chitarrista chiude un altro cerchio della sua esistenza tornando a lavorare con il produttore Glyn Johns e riprende in alcuni episodi riusciti il suo rapporto con la scrittura. Spiral è la traccia di riferimento, con una melodia reminiscente Old Love e una dichiarazione di amore sempiterno per la musica. Catch the Blues, la preferita da Johns, il quale elogia l’abilità mai terminata a tessere piacevoli melodie di Eric, non è nulla di rivoluzionario, ma è comunque intensa e vissuta. L’artista riesce, in un’atmosfera “laid back” scaldata da un wah wah creato con la slide, a raccontare le storie dei momenti difficili affrontati con la scorrevolezza che ha un uomo della sua esperienza: “Ho vissuto in un mondo di dolore senza di te a far la differenza. Oh, sto impazzendo, ma non posso andare avanti senza invocare il tuo nome…”. L’acustica Freight Train e la scatenata Lonesome, purtroppo fruibili solo nella limited edition di I Still Do, sono discrete; confermano, peraltro che, parafrasando il titolo dell’opera, Eric Clapton “Tuttora lo fa” (comporre canzoni).

Il 2018 è scosso da un piacevole concerto in luglio a Hyde Park, davanti a circa 70.000 persone, occasione per ritrovarsi con la partner storica Marcy Levy alias Marcella Detroit per The Core e Lay Down Sally, e chiudere con un bis insieme al caro amico Carlos Santana. Le sorprese non sono finite, poiché a ottobre viene pubblicato Happy Xmas. Eric non riesce a resistere alla tentazione di realizzare un disco di Natale e lo costruisce alla sua maniera, con i classici, una manciata di blues convincenti e alcune sorprese. Risulta sicuramente apprezzabile, in mezzo a tali proposte, For Love on Christmas Day, malinconica ballata con il mood di Curtis Mayfield concepita insieme al solito Climie e al songwriter Dennis Morgan.

Un nuovo tour europeo, che finalmente dopo tanti anni avrebbe toccato pure l’Italia, è la breaking news di fine 2019 e si vocifera continuamente pure di un nuovo lavoro, probabilmente prosecuzione di quanto registrato finora – e ancora inedito – per J.J.Cale. Sembra difficile, nonostante il recente colpo di coda dato dai brani citati, ipotizzare una nuova e duratura stagione compositiva per EC.

Nessuno poteva però prevedere l’inizio di un periodo che cambierà per sempre le aspettative umane. Da febbraio 2020 in poi il mondo non è più lo stesso, tra lockdown, leggi ad hoc, privazioni della libertà e, ovviamente, annullamento di concerti e spettacoli per prevenire i rischi di infezione causati dalla pandemia. Clapton soffre molto per tale inattività e trova spunto da questo frangente davvero difficile per creare The Lady in the Balcony: Lockdown Sessions (2021), che emoziona anche solo per il coraggio di riprendere alcune sue canzoni bellissime, ma dimenticate, da lui per primo. Vedono così nuova luce Golden Ring, River of Tears e Believe in Life, ma tutta la scaletta è infarcita di cover inusuali o ripescaggi inaspettati. Inoltre brilla per intensità Kerry, inedito “bozzetto” autografo che prosegue la tradizione di dedicare a care persone scomparse un piccolo intermezzo acustico: vengono subito in mente gli struggenti fraseggi per J.J.Cale, Jack Bruce, Pino Daniele, John Wetton, Auntie Audrey e, appunto, l’apprezzato e compianto monitor engineer Kerry Lewis.

La fiamma è meno tenue, anzi ricomincia a prendere vigore e a propagarsi più calorosamente, anche se, purtroppo, è servito il vento malefico del Covid. Ancora una volta una disgrazia rimpingua il serbatoio dell’ispirazione per l’artista di Ripley; arrivano il rock blues polemico di This Has Gotta to Stop, la delicatezza di Heart of a Child e l’ironia di Pompous Fool, che inchioda l’arroganza di chi vuole influenzare negativamente le persone più deboli.

Ma è sulla qualità e, vedremo tra poco, tenerezza, della seconda canzone che occorre soffermarsi. Heart of a Child riporta l’artista ad alti livelli dal punto di vista compositivo, ulteriore dimostrazione della sua mai cessata necessità di stimoli per elevarsi. Inoltre Eric Clapton – e qui tocchiamo il profilo intimo e profondo della persona – come raccontato anche in una recente intervista, tende la mano a chi, come lui, ha sofferto infinitamente in questo terribile frangente, pensando, come estrema misura, anche di farla finita: “Metti giù quella pistola, ragazzo, non sprecare la tua vita. Avremo bisogno di te, ce la faremo ad arrivare a fine giornata…Ma non spezzare il cuore del tuo bambino, non lasciare che la paura ti faccia impazzire.” Eccoci al cuore di Eric Clapton, a quella frase già citata all’inizio del primo articolo, “Il dolore che provi mi colpisce nel profondo. Sono proprio lì con te, ragazzo, non sarai mai solo”, simbolo di affetto e altruismo. Sette minuti struggenti, accresciuti dal tocco di due giovani maestri della sei corde, Daniel Santiago e Pedro Martins, quasi a dimostrare che il futuro della musica e in particolare della chitarra è in buone mani.

Heart of a Child

Una ballata toccante, con una melodia intensa e un ritornello contagioso, che verrà presentata con successo durante l’acoustic set le sere di maggio 2022 alla Royal Albert Hall, con Andy Fairweather Low ospite speciale al mandolino. Un brano speranzoso per un artista che tanto tempo fa cantava “Ho ancora qualcosa da dire” in Ain’t Going Down, e che non ha smesso mai di regalarci bellezza, come negli indimenticabili show italiani di ottobre 2022. Un uomo che in maniera sommessa, molto umile, ha sempre partecipato e pensato a eventi benefici, come gli spettacoli di Capodanno a Woking, nel Surrey, per non dimenticare chi, come lui, è stato schiavo di alcool e droga. Quest’anno il chitarrista proseguirà nella tradizione proprio con un concerto il 31 dicembre in quel luogo, in memoria di Gary Brooker, suo grande amico e musicista leggendario. Sempre nel segno della guarigione e riabilitazione, poi, è stata fondata recentemente Turn Up for Recovery, comunità inclusiva di artisti, amanti della musica e persone affette da dipendenza presieduta dalla moglie Melia: divertirsi, parlare di recupero e raccogliere fondi per aiutare gli altri a ottenere l’aiuto di cui hanno bisogno rappresenta la mission di questo gruppo.

Una cosa è certa: se il periodo che stiamo vivendo, funestato da pandemie e guerre, è davvero terribile, ci sono ancora alcune persone coraggiose e sensibili pronte ad abbracciarci e a prenderci per mano con la loro musica sincera e sentita. Con il suo cuore e la sua immancabile chitarra Eric Clapton è uno di questi e il 2023 si prefigura solenne, con un nuovo album che dovrebbe evidenziare una ritrovata e più continua ispirazione compositiva, un tour in Giappone per celebrare sessant’anni di carriera, e altre novità e collaborazioni significative che, come è capitato recentemente ad esempio con Dion e Ozzy Osbourne, hanno sorpreso e deliziato.

La musica troverà sempre il modo di arrivare fino a noi, con o senza business, politica, religione o altre stronzate. Mi ha sempre trovato e… mi troverà sempre.” <<<Tratto dall’autobiografia, 2007>>>

Alessandro Vailati

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3 thoughts on “Il Cuore di Eric Clapton #3
  1. Lavoro completo e mirabile. Sincero e documentato.
    Scritto con competenza e soprattutto con grande amore
    ( per la musica e per Clapton, che è come dire la stessa cosa…).
    Bel lavoro, Vailati. Sei grande @

  2. Complimenti per il racconto e la storia di Clapton .artista unico e superiore a chiunque altro.poco osannato a differenza di altri sopravvalutati .vedi i Queen .Beatles etc grazie lo conserverò nel mio cuore.grande Eric

  3. Ottima e veritiera ricostruzione di come sia Eric Clapton. Lo seguo dal 1966, avevo 14 anni, perché un mio cugino mi regalo in quell’anno Fresh Cream. Io, assieme ad alcuni amici, fondammo l’Eric Clapton Fan Club of Italy.

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