Filosofia del basso: intervista a Simone Monne Bellavia

Ho avuto la fortuna di sentir suonare Simone molte volte con i Black City e durante le jam al Birra Ceca di Rivoli (To), rimanendo ogni volta affascinato dal suo stile. Da qui la voglia di scoprire qualcosa di più del suo mondo musicale e della sua “filosofia” del basso.

filosofia del basso Monne Bellavia

Quando è iniziato il tuo viaggio nella musica e con il basso in particolare?

Ciao Alberto, intanto ti ringrazio di questa intervista, fa sempre piacere pronunciarsi su alcune tematiche. Dunque, io ho iniziato a sfogare interesse musicale fin da bambino poiché, visto come un gioco, ne condividevo molto tempo con i miei cugini Martin e Ruben, stimolati da un padre fanatico di Frank Zappa e Jimi Hendrix: diventò subito il gioco della vita per tutti e tre e in modo piuttosto spontaneo prendemmo ruolo agli strumenti.

Ruben suonava la batteria, Martin la chitarra ed io il basso, ma con la tastiera fino a che non arrivò in regalo il primo basso elettrico. Suonavamo rock e blues o brani di Jimi Hendrix ma prevalentemente di Frank Zappa, che negli anni a seguire divenne il nostro pane quotidiano nonché elemento forgiante per la nostra formazione autodidatta musicale.

Nascevano poi gli Ossi Duri, gruppo di musica in stile zappiano con brani propri originali, ma il più delle volte venivamo scritturati per fare musica di Zappa nei festival dedicati al compositore.

Il vero viaggio nella musica e con il basso elettrico lo iniziai da maggiorenne, quando decisi di fare della mia vita una esperienza musicale, quindi non più solo un gioco ma una vera ricerca a tutto tondo con la certezza che la musica è la migliore compagna di vita. Quindi lasciai il lavoro sicuro che avevo a 26 anni e mi lanciai nella precarietà dell’arte…

Quali sono state negli anni le tue principali fonti di ispirazione e quali sono quelle attuali, tra i bassisti ma non solo?

A parte il fascino compositivo di Frank Zappa che è stato ed è tutt’ora la mia influenza principale, mi feci rapire ovviamente da Jaco Pastorius, Marcus Miller, Stanley Clarke, Victor Bailey, Jeff Berlin, Les Claypol, Scott La Faro, Eddie Gomez, Miroslav Vitous, Christian Mcbride.

Oltre ai bassisti sono sempre stato affascinato da compositori come Mozart, Bach, Beethoven, Bottesini (quando studiavo contrabbasso classico in conservatorio). Mi piace molto anche l’elettronica e tra i compositori di questo genere ascolto molto Aphex Twin, Squarepusher e Jhon Hopkins.

Sottolineo che per me la musica può essere bella o brutta al di là del genere musicale.

Volendo provare ad abbozzare una “filosofia del basso”, quali sono secondo te gli aspetti imprescindibili da considerare per chi suona il tuo strumento, qual è la sua identità profonda e il suo ruolo all’interno di una band?

La filosofia del basso che credo si abbini perfettamente allo strumento la sintetizzerei in due parole: umiltà e saggezza, requisiti che si consolidano da sé dal momento che il bassista si completa di conoscenza oltre il proprio strumento.

Voglio dire che di base vale per tutti gli strumentisti, approfondire oltre il proprio strumento, ma per il ruolo del bassista è più che necessario studiare armonia, ritmo, groove, melodia, accordi e quanto di più faccia parte dell’aspetto decorativo (chiamiamolo così) delle sovrascritture compositive emesse sopra una linea di basso. Se ci pensiamo bene, una melodia singola è una potenziale linea di basso e una singola linea di basso sarà la melodia se non vi è altro. Con questo intendo dire che non può esistere melodia senza una base di riferimento quale il basso, è come dire di costruire una casa sopra l’aria.

Il ruolo del bassista ha una responsabilità a mio avviso maggiore di tutti gli altri componenti, perciò ci vorrà molta umiltà e saggezza data la scarsa visibilità dello strumento e dello strumentista.

È appena uscito un nuovo album dei Black City, Sankhara, ma hai collaborato anche con altri artisti e, fino a quando si poteva, suonato in diversi club torinesi. Cosa significa “fare musica” per te e come è cambiato negli anni?

Questo ultimo disco dei Black City mi vede partecipe per metà poiché una grossa ernia alla cervicale ha compromesso la mia forma totale e il disco è stato registrato dal collega Yoel Soto (eccelso bassista cubano): io suono in un mio brano, Checklist, più un assolo in un altro, Dr Green.

Nel passato ho suonato ovunque ed in particolare nelle jam torinesi dove venivo chiamato per supportare il palco nelle svariate espressioni di generi musicali. Grazie ai palchi torinesi e non solo ho avuto la fortuna di collaborare con artisti di rilievo come Ike Willis (cantante di Frank Zappa) Elio, Rocco Tanica, Miroslav Vitous, Dado Moroni, Francesco Cafiso, Nguyen Lè, Fabrizio Bosso, Ellade Bandini, Mariapia Devito, Freak Antoni e moltissimi altri.

Negli anni ho proposto anche un mio trio personale, con all’attivo 3 dischi di cui si trova in rete solo l’ultimo uscito a febbraio di quest’anno, il progetto si chiama 3m&co. Siamo io al basso, Gaetano Fasano alla batteria e Jacopo Albini al sax: nei dischi invitiamo sempre degli ospiti d’onore a partecipare.

Fare musica per me è stato sempre un invito dalla vita, non ho dovuto faticare troppo (per fortuna) per lavorare sui palchi.

Ora come ora con il sistema e la società ormai impaurita dagli eventi non saprei cosa aspettarmi…

So che ami suonare diversi generi musicali, dal funk al jazz, dal rock alla classica… Qual è il tuo principale campo di ricerche in questo periodo e quali progetti hai in mente per il prossimo futuro?

In questo periodo sto sfogando molto l’interesse per la composizione e sto preparando un disco di elettronica firmato a nome mio come Elettronika Mind: all’attivo vi sono due album presenti in tutti gli store del mondo e a breve questo terzo ep che è la sintesi delle mie riflessioni sugli ultimi e difficili tempi di convivenza a questo nuovo mondo fatto di paure