“Siamo Caos” – Così parlò Marilyn Manson

Fresca di diploma al Liceo Classico, Elisa è una grande appassionata di musica e di filosofia, e di tutto quello che dell’una sfocia nell’altra sino a farsi percorso e richiamo esistenziale. Questo è il suo primo articolo per il blog, un ritratto personale di un artista controverso ed enigmatico…

“Siamo Caos” – Così parlò Marilyn Manson

“Ok, c’è una strana creatura”, fu la prima cosa che pensai anni fa non appena vidi per la prima volta una foto di Marilyn Manson, che più che un cantante mi sembrò decisamente uno strano essere più o meno deforme, completamente nudo, dalla pelle bianca, con quei seni femminili su un corpo maschile e gli occhi rossi dalle pupille nere, che mi fissavano con un misto di minaccia e di suggestione. Bella idea per una copertina di un album, pensai in modo alquanto sarcastico.

Ancora adesso mi fa sorridere pensare che qualcosa che per anni ho rifiutato è ora ciò che trovo più simile a me, non soltanto per il piacere nell’ascolto della sua musica, ma proprio per ciò che essa vuole esprimere.

Sarà un compito decisamente arduo per me riassumere in “poche” righe l’immensità della filosofia che si cela dietro a queste sole due parole, “Marilyn Manson”, per questo chiamerò proprio lui in mio aiuto e lo lascerò parlare da solo, a partire dal suo nome stesso, perché se c’è una lezione che la musica insegna, è ascoltare, prima di qualsiasi altra cosa.

Nato con il nome di Brian Warner, cresciuto negli anni ’70 e ’80 in una delle zone più conservatrici d’America, inizia ben presto a interessarsi alla musica, una passione scaturita, ironicamente, dal divieto di accedervi imposto dalla scuola ultracristiana che frequentava. Dall’oppressione dell’ambiente sociale e della famiglia nei quali era inserito, Brian trova una via di scampo proprio nella musica “demoniaca” di quelle band truccate in faccia in modi sconcertanti e che cantano inni alla libertà, all’individualità e alla ribellione a tutto ciò che limiti il pensiero personale. Ma questa passione si trasformerà presto nello scopo della sua intera vita, facendolo emergere dall’inferno di solitudine che gli si era creato intorno e permettendogli finalmente di aprire le ali per “passare da verme a uomo“, citando Friedrich Nietzsche, uno dei suoi massimi ispiratori. Ed è proprio questo il filo logico che muove la sua intera opera, in particolare quattro album fondamentali, l’ultimo dei quali partorito giusto un paio d’anni fa… proprio mentre io iniziavo a esplorare il magico mondo di Marilyn Manson.

Questa è la storia di un uomo che apre gli occhi e decide di cambiare il mondo intorno a sé perché ne sente il bisogno di rinnovamento; un genio incompreso che viene preso per matto e ammazzato perché troppo scomodo, ma che, una volta morto, diventa l’idolo dei suoi stessi assassini, forse per il loro senso di colpa, o per il semplice fatto che uno scandalo del genere poteva rivelarsi un’ottima mossa di marketing.

È la storia di una ribellione alla commercializzazione degli ideali che diventa essa stessa una commercializzazione, perché tutto, “nel minuto in cui nasce, inizia a morire”, come recita un verso della canzone Minute Of Decay, “Il minuto del decadimento”, di un album dall’imponenza spaventosa e dal titolo altrettanto spaventoso, Antichrist Superstar.

E questa ciclicità di vita e morte è proprio il significato ultimo della storia di Marilyn Manson, l’eterna contraddizione hegeliana che è ciò che anima la vita di ogni essere umano. Basti pensare al suo nome, Marilyn Monroe accostata a Charles Manson: le due icone della pop culture americana più famose e più agli antipodi di sempre che si tengono insieme in un’unica perfetta sintesi. Eros e Thanatos, il Bene e il Male, la Ragione e la Follia, Apollo e Dioniso.

Il primo capitolo di questa storia si intitola Holy Wood (In The Shadow Of The Valley Of Death), una Hollywood distopica nella quale tutto è governato dal culto della professione e dall’apparenza esteriore, dove le grandi stelle sono come delle “ipostatizzazioni” – per usare termini fauerbachiani – ovvero nient’altro che valori ormai svuotati di se stessi, e usati come puri prodotti commerciali al solo scopo di vendere; valori originariamente umani che si sono dimenticati la loro radice umana, e che ormai contano più delle personalità individuali stesse… chiamalo distopico. È un’accesa e violenta satira di un’America assoggettata dalla religione abusata come mezzo politico, da qui l’astuta assonanza tra Hollywood e Holy Wood, che letteralmente significa “legno sacro”, la croce di Cristo.

E in questo panorama di sottomissione e apatia, un solo uomo ha il coraggio di alzare la testa, un folle, un uomo dalla sfrontatezza tale da proporre un ideale non di falsa adulazione ma di Amore, un oltreuomo, come lo definirebbe Nietzsche, uno Zarathustra nei panni niente meno che di Cristo. Egli propone un ritorno all’Uomo, alla valorizzazione di se stessi e delle proprie passioni. Non è un caso che la parola “Manson” si pronunci allo stesso modo di “Man’s Son”, “Figlio dell’Uomo”. E paradossalmente proprio Cristo propone un amore che vada oltre ogni forma di costrutto, a partire dalla religione stessa, perché essa proviene dal ragionamento e dal timore, non dal sentimento spontaneo.

È fondamentale riconoscere come Manson attribuisca al termine “Dio” non soltanto il significato di Dio cristiano, ma tutto ciò in nome del quale l’uomo può essere in grado di vendere passivamente la propria individualità; esattamente come per il termine “droghe”, una schiavizzazione mascherata da libertà, della quale ben presto non si può più fare a meno. “Non sono schiavo di un dio che non esiste”, urla energicamente Manson nel ritornello di The Fight Song, “La canzone della lotta”: non sono schiavo di un’illusione. E a precederla troviamo, in evidente contrasto, The Love Song, “La canzone d’amore”, il cui ritornello recita ossessivamente: “Amate i vostri fucili, il vostro Dio e il vostro governo?” con tanto di coro di fanatici che risponde a gran voce “Sì cazzo!”. Ebbene sì, l’ironia è l’arma più potente che Manson sfodera sapientemente quando meno te lo aspetti.

In questa Hollywood (Holy Wood) altro che distopica, Manson riveste il ruolo dell’Appeso dei Tarocchi, reinterpretato da lui stesso come Cristo in croce, quel genio scambiato per un semplice vagheggiatore folle, il Matto, la carta numero 0, la prima rock star di sempre… e anche l’ultima.

Ed è qui che si apre il secondo capitolo della storia, che porta l’enigmatico titolo di Mechanical Animals, “Animali Meccanici”.

Dio è ormai morto, e a dimostrarlo è quel ribelle stesso, diventato anch’egli un prodotto commerciale divorato da quello “Spettacolo della droga”, The Dope Show, una delle più celebri composizioni di Manson. Ed è proprio la copertina di questo album la prima foto di Manson che io abbia mai visto. Non vi è nulla se non Manson nei panni dell’androgino Mercurio, su uno sfondo completamente bianco, come la sua pelle stessa. È quella ribellione di amore che ha perso il suo significato originario e che ora è stata venduta in televisione. “Nelle auto prese a rate Dio è morto”, diceva Guccini, “Dio è in TV”, dice Manson nella canzone Rock Is Dead, “Il Rock è morto”, il Rock è morto e voi l’avete ucciso! È quel “nuovo fascismo americanamente pragmatico” di cui parla Pasolini riguardo all’omologazione e al consumismo portati dalla televisione, quella che Nietzsche definirebbe “la morale dello schiavo”. E questa omologazione, Manson la descrive come “un grande mondo bianco, dove siamo drenati dei nostri colori, perché un tempo eravamo in grado di amare noi stessi e di amarci l’un l’altro”… una canzone che più che una canzone è un violento schiaffo in faccia, Great Big White World, “Grande Mondo Bianco”. Ma la più grande pugnalata arriva con l’omonima canzone Mechanical Animals, con un verso dalla tragicità inarrivabile: “Questo non sono io, non sono meccanico, sono solo un ragazzo nel ruolo di re del suicidio”. È Cristo stesso che parla, realizzando non solo quanto il suo sacrificio sia stato inutile, ma quanto egli stesso sia stato venduto e meccanizzato in nome della sua morte.

Ed è proprio con questa realizzazione che si apre il terzo capitolo di questa trilogia, lo storico Antichrist Superstar. Antichrist Superstar è una dichiarazione di guerra contro la contraddizione dell’America puritana e consumistica e allo stesso tempo una contraddizione essa stessa, nella quale Manson si fa beffe persino di se stesso, perché persino un pubblico fanatico di una rockstar che promuove la libertà diventa una massa guidata da un leader.

Apertamente ispirato all’Anticristo di Nietzsche, questo album è il rifiuto di ogni etichetta e istituzione per radere al suolo tutto; è la volontà di potenza descritta da Nietzsche, “Io Voglio”. Cristo si è ormai reso conto di ciò che è avvenuto, che la Chiesa è l’unico vero Anticristo, e piange amaramente: “Forza, buttate il vostro odio su di me, fate della mia testa la vostra vittima. Non avete mai davvero creduto in me, sono solo il vostro laccio emostatico”, il cerotto per i mali della società, il capro espiatorio; sono versi tratti dalla canzone Tourniquet, “Laccio emostatico”, la canzone più struggente che abbia mai sentito, la mia canzone preferita di Marilyn Manson.

Antichrist Superstar è un’Apocalisse morale, che si chiude con altri due capolavori. The Reflecting God è forse la canzone più potente e distruttiva che Manson abbia mai scritto, ma anche la più rigeneratrice, perché ecco che si ritorna al caos primordiale. “Il Dio che si riflette” è Dioniso, immagine dell’individuo che afferma se stesso e torna a vivere; la fiamma interna a ogni uomo, pre-individuale, che si riflette nelle particolarizzazioni di Apollo, Demiurgo del suo Caos, la perfetta unione artistica. Ed è Narciso, colui che ama se stesso, e che ironicamente può anche finire vittima del proprio amore per se stesso; ma è una figura eroica, come eroico è lo stile di Nietzsche, e così quello di Manson, perché si butta in se stesso. E questo dio è quell'”Uomo che temete”, Man That You Fear, la canzone di chiusura dell’album, perché la morale degli schiavi può solo aver paura di fronte ai signori.

Ma non finisce qui, perché anni dopo la scrittura di questi tre album, Marilyn Manson ritorna con il suo ultimo grande capolavoro, We Are Chaos. Non ha bisogno di commenti, “Siamo Caos” dice tutto da solo. Con una canzone dal titolo Solve Coagula, il protagonista della storia riprende pieno possesso delle sue vesti di Diavolo, l’Arcano numero 15 dei Tarocchi, chiamato anche “Anima del Mondo”, poiché sulle braccia porta proprio le scritte “Solve” e “Coagula”, a significare una discesa nel proprio inconscio primordiale per riemergerne rigenerati, come Dioniso che, come spesso viene raffigurato, danza con gli animali nella natura, contrapposti a quegli animali meccanici, schiavi di un dio che non esiste. “Noi siamo caos, e non possiamo essere curati”, recita l’omonima canzone.

E ora? Ora che siamo tornati al principio? È finita lì? Questo non lo possiamo sapere, personalmente spero tanto (e in fondo ne sono convinta) in un ritorno di Manson con un tour grandioso per questo album, perché, come dice la mia canzone preferita di Holy Wood, “quando un mondo finisce, qualcos’altro ha inizio, ma senza un grido; soltanto un sussurro, perché semplicemente lo ricominciamo da capo”. Questa canzone si chiama The Fall Of Adam, “La caduta di Adamo”, un chiaro riferimento hegeliano al concetto di idea che nega se stessa nel confronto con altre idee, per prendere vita e riscoprirsi in una sintesi, dalla quale ricominciare da capo. L’uomo che costruisce la propria individualità attraverso le esperienze della vita aumentando la propria conoscenza. Marilyn che incontra Manson, e nessuno dei due ha senso senza l’altro.

Manson dice “Io Sono”, perché l’unico vero messaggio che ha sempre promosso altro non è che essere se stessi e amare se stessi, o come direbbe Nietzsche, “diventare se stessi“.

Marilyn Manson, Brian Warner, è diventato se stesso? Semplice: la prima intervista a Marilyn Manson fu condotta da Brian Warner, un perfetto sconosciuto di vent’anni, nato a Canton in Ohio, il 5 gennaio 1969.

Elisa Caire