L’arte del romanzo storico: intervista a Claudia Villero

È un piacere ospitare nel blog l’intervista ad una persona e una scrittrice che stimo molto. Le ho rivolto alcune domande sui suoi romanzi, sul processo creativo e di scrittura, sul suo modo di rileggere la storia di personaggi antichi e di alcune donne del mito greco. Personaggi, come dice Claudia, non distanti da noi ma così vicini da poter instaurare «un infinito dialogo senza confini né di spazio né di tempo».

Claudia Villero è un’autrice astigiana. Si è laureata in Filologia e Letterature dell’Antichità presso l’Università degli Studi di Torino. Insegna Lettere nella scuola secondaria di secondo grado. Ha pubblicato nel 2017 “Confessioni alla corte dei Tudor” e nel 2019 “Dal Monferrato all’Isonzo”. Con il primo romanzo ha vinto nel 2018 “Nero su bianco. Premio letterario Mino De Blasio” e “Talenti vesuviani” e nel 2019 ha ottenuto una segnalazione di giuria al “Golden books awards”. Con il secondo romanzo nel 2020 ha vinto il premio letterario “Talenti vesuviani alla cultura narrativa edita”. Nell’estate 2022 ha pubblicato “La regina degli Achei”, primo capitolo della trilogia “Essere donne al tempo degli eroi”.

Nei tuoi romanzi abbini la ricerca storica, l’interesse letterario e il ritratto di personaggi emblematici ma così reali nella loro umanità. Da che cosa muove questa tua scelta particolare e quando senti di aver imboccato un sentiero di ricerca che ti porterà alla scrittura?

La storia è da sempre la mia grande passione. Nello studiare gli eventi del passato mi piace addentrarmi nella psicologia dei personaggi che ne sono stati “grandi” e “piccoli” protagonisti. Sono convinta che non si possa studiare la storia partendo dalla consapevolezza del presente, ma che sia necessario addentrarsi nelle epoche passate, immedesimarsi nelle persone di allora per capire appieno i meccanismi della società, le cause e gli effetti di determinate scelte. Ho notato, però, che molto spesso le persone vedono nella storia una materia arida, fatta unicamente di fatti e date da collegare tra loro. Essendo innamorata della storia, volendo trasmettere la mia passione e ribellandomi a un’idea distorta di questa scienza che si sta sempre più radicando nella nostra società, mi sono interrogata su cosa potevo fare per renderla maggiormente fruibile, per liberarla dai pregiudizi e dagli stereotipi che l’hanno investita. Ho quindi pensato al romanzo storico. Sono una accanita lettrice e, tra i moltissimi libri che mi hanno accompagnata in fasi importanti della mia vita, ci sono anche alcuni romanzi storici che si distinguono per la precisione delle notizie storiche e l’abilità con cui l’autore o l’autrice sanno prendere per mano il lettore e portarlo a conoscere il personaggio. Ho quindi capito qual era la strada che intendevo percorrere. Ho sempre sentito il bisogno di scrivere. Dico “bisogno” perché ritengo che la scrittura sia qualcosa che nasce nel profondo dell’animo e che la sua funzione sia prima di tutto quella di rispondere a un’intima esigenza di comunicare di chi scrive. Nei miei romanzi do voce a personaggi che mi hanno affascinato ed emozionato, a personaggi che mi hanno comunicato un qualcosa, una sorta di messaggio che sento di dover condividere con gli altri.

Personalmente, una delle fasi della scrittura che preferisco è quella della ricerca, dell’ideazione del progetto e della struttura portante: quell’idea fulminea e spesso immediatamente intuitiva che ha però bisogno di tempo per maturare e portare frutto. Immagino che per dare vita ai tuoi libri sia necessaria una preparazione molto attenta e uno studio approfondito sul piano storico, con una paziente attesa e una dedizione all’arte della scrittura che mi affascinano molto. In che modo si svolge solitamente per te questa fase di ricerca e che cosa comporta?

La ricerca storica è fondamentale. Direi che è la vera struttura portante delle mie opere. L’unica parte romanzata all’interno delle mie opere riguarda la psicologia dei personaggi. I fatti, le vicende sono tutti documentati. Le ricerche che ho svolto per i tre romanzi che ho pubblicato sono state molto diverse, poiché molto diversi sono gli argomenti trattati. Per il mio primo romanzo, “Confessioni alla corte dei Tudor”, ambientato nell’Inghilterra di Enrico VIII e incentrato sulla figura di Anna Bolena, ho studiato accuratamente quel periodo, basandomi non solo sulle fonti storiografiche, ma anche sul carteggio tra Enrico VIII e Anna Bolena, sui diari dei cortigiani di Enrico VIII, sugli atti del processo a Caterina d’Aragona e alla stessa Anna Bolena. Per il mio secondo romanzo, “Dal Monferrato all’Isonzo”, ambientato durante la prima guerra mondiale e che, in particolare, racconta una fase di una guerra dalla prospettiva di un giovane soldato, ho svolto ricerca di archivio e approfondito lo studio delle lettere scritte dai soldati dal fronte. Volevo rendere chiaro, attraverso la voce del protagonista, come la guerra era percepita dai soldati semplici. Per il mio terzo romanzo, “La regina degli Achei”, da poco pubblicato, ho invece approfondito lo studio dei miti greci e della società micenea. Protagonista, infatti, è Clitemnestra, la moglie di Agamennone, il capo della spedizione achea contro Troia. Le mie opere non sono semplici romanzi, sono romanzi storici. Tengo molto a sottolineare questo aspetto, proprio perché presto grande attenzione alla veridicità storica dei dati in essi contenuti.

Il tuo primo romanzo, “Confessioni alla corte dei Tudor”, è del 2017; il terzo, più recente, “La regina degli Achei”, è appena uscito e ruota attorno alla rilettura di alcuni miti greci attraverso la voce in prima persona di eroine come Giasone, Medea, Penelope. Qual è stata la genesi di questa idea molto affascinante e in che modo intende scardinare certe interpretazioni secolari dominate da una visione solo “maschile”?

Essendo donna mi riesce molto più naturale addentrarmi nella psicologia femminile piuttosto che maschile. Inoltre dare voce alle donne del mito mi dà la possibilità di darne una lettura inedita e in parte provocatoria. Tutti i grandi miti sono infatti sempre stati raccontati partendo dalla prospettiva maschile, degli uomini; la visione del mondo antico che ci è stata tramandata è quella dei vari Achille, Odisseo, Agamennone. Nessuno degli antichi si è mai curato di capire quale fosse il pensiero delle donne che questi eroi avevano accanto. L’unico forse che lo ha fatto è stato Euripide, che, però, non è stato particolarmente apprezzato dai suoi contemporanei. Nel mio ultimo romanzo ho voluto restituire voce a queste donne che sono rimaste “schiacciate” dall’ingombrante ombra dei loro uomini. Pur non essendo minimamente femminista, anzi il contrario, ho sempre sottolineato come accanto a ogni grande uomo ci sia una grande donna il cui contributo è fondamentale per lo sbocciare della grandezza. Con il mio romanzo ho voluto accendere i riflettori su queste donne, sulle loro emozioni, sui loro pensieri, sui loro sentimenti, cogliendole nella loro intimità. Ho voluto che la protagonista del mio romanzo fosse Clitemnestra, perché è quella forse meno nota tra le eroine. Tutti in fondo sanno chi è Penelope, chi è Medea, chi è Elena, ma solo “gli addetti ai lavori” finiscono per sapere chi è Clitemnestra. Eppure, questa donna era la sorella gemella di Elena, la moglie di Agamennone, colui che Omero definisce “il re degli Achei”. Ho quindi voluto, provocatoriamente, intitolare il mio romanzo “La regina degli Achei”. Se Agamennone ne era il re, Clitemnestra, sua consorte, era regina di questo popolo. Ho voluto che fosse chiaro fin dal titolo che la prospettiva assunta dall’opera è quella femminile.

So quanto tu sia legata ai tuoi luoghi e all’Astigiano, una terra ricca di storia e fascino che anch’io amo molto e in cui mi sento immediatamente a casa ogni volta che la attraverso. C’è anche questo nel tuo secondo lavoro, “Dal Monferrato all’Isonzo”, dedicato alle vicende dei soldati della prima guerra mondiale e in particolare a un giovane diciannovenne…

Dal Monferrato all’Isonzo” è un “unicum” nella mia produzione e credo che rimarrà tale. Non penso infatti di avventurarmi più nella storia del Novecento. Non è il mio periodo. Ho fatto studi classici: il liceo classico prima e Filologia e Letterature dell’Antichità poi; mi affascinano maggiormente le epoche più antiche, la storia classica, quella medioevale, quella moderna. Ho però sentito la necessità di scrivere questo romanzo proprio come tributo alla mia terra e al mio paese, Piea. Il protagonista, Pescarmona Alessandro, è realmente esistito, giovane contadino pieese chiamato alle armi all’età di appena diciannove anni. La sua storia mi tocca molto da vicino e mi commuove profondamente, perché era mio zio, il fratello di mio nonno. Fin da bambina mi è stato raccontato di lui e io, a mia volta, ne parlo, ma le parole si perdono nel vento. Ho avuto paura che il suo nome come quello degli altri pieesi, che come lui sono stati travolti dalla guerra, fosse condannato all’oblio dallo scorrere del tempo. Ho quindi voluto fissare la loro storia nelle pagine del mio romanzo, perché rimanga testimonianza del loro sacrificio, del loro dolore, delle loro speranze. Dolore, speranze, illusioni in cui i ragazzi di oggi possono rispecchiarsi.

Dei personaggi storici di cui ti occupi emerge una lettura psicologica molto intima, intrisa delle lotte e delle passioni, dei conflitti e dei desideri, che riguardano l’esistenza di ognuno di noi. Quale punto di vista adotti in prima istanza di fronte a questa galleria umana e che cosa ti porta a volerne scrivere?

Innanzitutto, attraverso un attento studio dell’epoca e della società dei miei protagonisti cerco di capire quale poteva essere il loro punto di vista, il loro modo di percepire e interpretare gli eventi. Sono poi profondamente convinta che le emozioni, le passioni, i dolori, le attese e le speranze, i vizi e le virtù con cui gli uomini devono fare i conti ogni giorno siano sempre esistiti. C’era una frase che ripeteva sempre il mio professore di Letteratura greca dell’Università, il professor Pierpaolo Fornaro; diceva sempre: “il mondo è vecchio e non sa di esserlo”, riflettendo sulla disarmante modernità del mondo classico. Ne sono profondamente convinta. Crediamo di vivere qualcosa di nuovo, di straordinario, ma in realtà ciò che proviamo sono le emozioni che l’umanità prova da sempre. Ovviamente cambia il momento storico, cambia l’ambiente e quindi anche la percezione che gli uomini hanno della realtà, il loro modo di viverla e di reagire alle gioie e alle difficoltà della vita. Ma l’essenza dell’emozione rimane la stessa. Trovo questo aspetto estremamente affascinante. Ci fa sentire vicini personaggi vissuti secoli, millenni prima di noi. Ci fa sentire parte integrante di un mondo, di una società. Ci porta a intrecciare un infinito dialogo senza confini né di spazio né di tempo.

Precisione storica, abilità di scrittura, ritratto psicologico dei personaggi. Sono solo alcuni degli ingredienti fondamentali per un buon “romanzo storico”. Qual è il tuo approccio personale a questo genere e quali sono stati nel tempo i tuoi riferimenti imprescindibili?

Il romanzo storico a mio avviso ha l’importante compito di affascinare le persone. Mentre un saggio di storia finisce per parlare “solo” agli “esperti”, a persone che bene o male già conoscono l’argomento e che comunque sono già affascinate dalla materia, il romanzo storico ha il compito di diffondere l’interesse della storia e di allargare il suo pubblico. Raccontando gli eventi storici in modo romanzato parla a un pubblico più vasto. Ovviamente il romanzo non può avere la precisione e l’argomentazione di un saggio e non può quindi sostituirsi a esso. Può, però, fare nascere nel pubblico l’interesse, la curiosità per un determinato periodo o un determinato personaggio; interesse e curiosità che possono portare a ulteriori indagini, a “scoprire” la storia con la “S” maiuscola. Proprio per questo ritengo che il romanzo storico non debba inventare nulla, ma debba essere il più possibile fedele ai fatti. Le due parti: quella del “romanzo” e quella della “storia” devono essere bilanciate; nessuna delle due può prendere il sopravvento sull’altra. Nel primo caso si violerebbe la realtà dei fatti; nel secondo caso si finirebbe per cadere in una “pesantezza” che rischia di allontanare il lettore invece di avvicinarlo.

Data la tua prolificità, ti immagino già al lavoro su un nuovo progetto. Puoi anticiparci qualcosa, anche solo il soggetto che in questo momento sta attirando maggiormente la tua curiosità e il tuo interesse di scrittrice?

Sto proseguendo il percorso iniziato con “La regina degli Achei” all’interno delle grandi figure femminili del mito greco. “La regina degli Achei” è infatti il primo capitolo di una trilogia intitolata “Essere donne al tempo degli eroi” che vedrà in prossima uscita “Regina e prigioniera” con protagonista Andromaca, la sposa di Ettore e “La tessitrice di inganni” con protagonista Penelope. Continua quindi la mia rilettura del mito visto dalla prospettiva delle donne.