MAGGIO (A cura di Alessandro Vailati)
È stato davvero difficile elaborare il lutto della perdita inaspettata di Jeff Beck, uno degli artisti che più mi hanno fatto vibrare le corde dell’anima nelle esibizioni live a cui ho fortunatamente potuto assistere. Specialmente gli show “Together and Apart” di Londra nel 2010 in accoppiata con Eric Clapton, con una sognante Moon River interpretata con commozione dai due, e la performance al Vittoriale del 2018 rimangono momenti indelebili della mia vita da appassionato di musica dal vivo. Vedere così tante persone commemorarlo nelle giornate seguenti la sua scomparsa mi ha fatto sentire meno solo e capire quanto fosse grande e importante il patrimonio artistico che ha lasciato. Tuttavia l’emozione più immensa provata è venire a conoscenza del tributo organizzato in maggio proprio dal suo amico Slowhand, il quale, in una chiacchierata informale sul canale You Tube Real Music Observer, ha svelato un altro toccante retroscena, divenuto realtà proprio oggi!
«L’anno scorso abbiamo registrato la nostra versione in studio di Moon River, in memoria dei concerti insieme avvenuti una decina d’anni fa. Jeff era un grande fin dai suoi inizi coi Tridents, e non ha smesso di esserlo anche nell’ultimo periodo. Alcuni mesi or sono, durante il mio tour europeo, se mi sentivo un po’ giù di corda andavo a cercare su YouTube i suoi live recenti, anche quelli del giorno prima, e ciò mi dava carica, era sempre così imprevedibile! Ora faremo un tributo che sarà come un Crossroads Festival, in quanto uno spettacolo in suo onore deve essere fatto con i migliori. Cercheremo di esserne all’altezza, anche perché è impossibile replicarlo, imitarlo, la cosa bella è che suoniamo per un fine nobile, è un charity show, sarà il nostro modo per dirgli “Grazie di tutto, Jeff”…»
Un’emozione indescrivibile, ascoltare queste note, dopo quanto accaduto. E, ormai fra pochi giorni, sarà tempo di omaggiarlo alla mitica Royal Albert Hall.
Dalla pagina Facebook ufficiale di Jeff Beck
Anche noi di MusicPhilò, da fan e appassionati, desideriamo rendere gloria a uno dei più grandi chitarristi, ringraziarlo per la sua Arte. Una Bellezza che rimarrà per sempre, e lenisce quel senso di perdita all’interno del cuore. E modo migliore non poteva esserci, se non quello di ricordare quanto Jeff ed Eric fossero uniti dalla musica che amavano e condividevano, dagli antichi irish folk all’adorato blues. Una musica che li ha legati indissolubilmente anche nell’amicizia.
«Abituati ancora allo Ieri e vederlo scivolare via con l’Oggi. Isolamento. Tutto sbiadisce come le fotografie, ricordandoci che niente è duraturo, mai.» <<<Estratto da A Thousand Shades, Ozzy Osbourne ft. Jeff Beck>>>
L’ultima volta che vediamo citati i nomi di Eric Clapton e Jeff Beck all’interno di una stessa opera, prima della sorpresa del 12 maggio 2023, è per questo emozionante lavoro di Ozzy Osbourne, Patient Number 9, uscito nel settembre 2022, anche se i due mitici chitarristi non suonano nella stessa traccia. Ma lo struggente brano citato sembra profetico, «Niente è duraturo, mai», e la scomparsa di Beck in un triste giorno di gennaio ci stacca ancora una volta di più dallo ieri, da ciò che fu la storia, anzi la rivoluzione creatasi con l’avvento del British blues e che aveva loro come padri putativi, nei primi anni Sessanta, l’inizio di tutto. Ed è stato anche l’inizio di una bellissima storia di amicizia e rivalità, con la prima sempre pronta a soffocare beatamente la seconda. La stima reciproca e un diverso stile di interpretare musica e vita non li ha mai allontanati, ha invece reso preziose le collaborazioni e ogni volta in cui le loro strade si sono incrociate è nato qualcosa che mai sbiadirà come vecchie fotografie, ma terrà unito passato e presente per costruire un futuro, per dare eterna ispirazione a ogni ragazza o ragazzo i quali, in qualunque parte del Creato, vogliano con passione imbracciare una chitarra e farsi strada in questo magico mondo.
«La chiamo musica universale ed è una fratellanza. I chitarristi non sono in competizione tra loro. Nello sport si compete, ma nella musica ci si completa.» <<<Carlos Santana>>>
Ci sono immagini, filmati, registrazioni, ufficiali e non, che certificano e qualificano il rapporto tra i due artisti britannici e passandone in rassegna alcuni fra i più significativi è difficile non commuoversi, tanto è l’intensità creata dalla loro musica insieme. Due uomini così diversi e così uguali, che hanno trovato nel blues e nella chitarra la salvezza, la cura ai loro malesseri interiori, e sono diventati inseparabili dal loro strumento sperimentando in seguito ogni genere, procedendo lungo tragitti differenti, ma trovando sempre il tempo di incrociarsi nei sentieri tortuosi della vita e stimolanti dell’arte, creando bellezza e ispirandosi reciprocamente.
Il primo momento in cui le strade di Jeff ed Eric si intersecano è davvero particolare e non lascia presagire la possibilità di avere buoni e costanti rapporti futuri. Infatti Clapton lascia stizzito gli Yardbirds, rei di aver intenzione di abbandonare il purismo degli esordi per conseguire il successo commerciale, e Beck ne prende il posto, mantenendo alto lo standard a livello chitarristico e beneficiando della celebrità raggiunta dal gruppo, gettando nella gelosia l’ormai ex componente. Siamo nel 1965, e Slowhand, comunque convinto della sua scelta, intraprende un percorso ricco di collaborazioni con i più grandi artisti della scena blues e non, inglese e americana. Da John Mayall e i suoi Bluesbreakers, al power trio con i Cream, fino ai Blind Faith, Delaney & Bonnie, Derek and the Dominos e l’inizio di una carriera solista.
Pure Beck, dopo svariate esperienze e il suo “group” con Rod Stewart, comincia a pubblicare album sotto il suo nome, oltre a quello, davvero notevole, come Power Trio insieme a Bogert & Appice.
Foto di Dezo Hoffman
Occorre sottolineare che i due già precedentemente alla loro partnership ufficiale nei primi Ottanta si erano conosciuti ‒ a tal proposito rimane da incorniciare la data del 3 maggio ’66, quando Eric si aggiunge durante il bis agli Yardbirds e duetta con Jeff ‒ e avevano coltivato la passione in comune per il blues, fin dalle sue radici acustiche con Son House e Robert Johnson per poi passare a quello elettrico della scena di Chicago.
«Buddy Guy mi ha colpito nel segno subito, appena ho avuto occasione di ascoltarlo a metà anni Sessanta. Ho subito adorato il suo vigore giovanile, la sua maniacalità e la sua comicità. Ha un tempismo squisito e a volte è deliziosamente fuori tono. È questo che trovo così affascinante. Ricordo che ne parlavo con Eric (Clapton) e Jimmy (Page): “Avete sentito questa roba?”» <<<Jeff Beck>>>
Buddy Guy è il loro beniamino e, insieme, lo incontrano durante il suo tour nel Regno Unito, come pure partecipano concitatamente alle performance londinesi di Jimi Hendrix, felici e in verità un poco turbati di avere un estimatore e concorrente oltreoceano. Quindi, quando nel ’79 Clapton si sposa è normale avere al suo party Beck, insieme a ¾ dei Beatles, una parte dei Rolling Stones e altre svariate celebrità. Le loro passioni, la reciproca ammirazione e, a volte, la voglia di un pizzico di sfida contribuiscono a mantenere vivo un rapporto che trova sfogo durante gli show benefici del Secret Policeman’s OtherBall nel 1981, al Theatre Royal di Londra, ove per le sere del 9, 10 e 12 settembre i due virtuosi incrociano le chitarre per alcuni classici del loro repertorio e per accompagnare le numerose star presenti.
Sfilano via, lisce come l’olio, Cause We Ended As Lovers, Crossroads e Further On Up the Road, contraddistinte dal trademark tipico di questi incredibili personaggi, che non mancano di ricomparire per il bis, con tutto l’ensemble presente all’evento, a eseguire il classico di The Band, scritto da Dylan, I Shall Be Released.
Sorridenti e fieri l’uno dell’altro, si scambiano i “solo” con rispetto e ammirazione, e la loro cooperazione diventa ancora più di spessore due anni dopo, nel momento in cui Eric, sconvolto dalla terribile malattia che ha debilitato l’amico Ronnie Lane, partecipa attivamente insieme a Jeff agli ARMS Concerts, organizzati dal produttore Glyn Johns per raccogliere fondi a favore della ricerca per la Sclerosi Multipla.
Foto di Jimi Crowley
Il successo dell’operazione aumenta le date degli spettacoli, dall’Inghilterra all’America, e consente di avere superstar del calibro di Winwood, Wyman, Cocker e Jimmy Page, il quale pur non in condizioni psicofisiche perfette, in uno straordinario corso e ricorso storico, suona Layla insieme agli altri due ex chitarristi degli Yardbirds. Momento epico ed epocale.
All’inizio della decade successiva esce Damn Right, I’ve got the Blues (1991), album che rilancia la carriera di Buddy Guy, occasione per tornare in coppia su Early in the Morning, una delle gemme dell’opera, anche se Beck avrà maggior spazio in Mustang Sally, sempre su quel disco. Nel ’93 Eric e Jeff non possono mancare in uno dei più riusciti e particolari tributi a Hendrix, Stone Free: il primo si occupa con vigore e audacia della title track, mentre l’altro si esibisce in Manic Depression, con Seal alla performance vocale. Sempre nello stesso anno sono invece ospiti insieme a B.B. King, Buddy Guy, Albert Collins in una speciale serata di gala ricca di artisti di ogni genere all’Apollo Theater di New York City, ma uno dei momenti più alti dei loro incroci è quello al Crossroads Guitar Festival del 2004, che poi si rinnoverà per tutte le altre edizioni. Cause We Ended As Lovers ‒ classico di Beck composto dall’adorato Stevie Wonder ‒ per una serie di futili motivi non figura nel solito DVD che riassume i momenti migliori della kermesse, però è da brividi e, grazie ai filmati ripresi professionalmente visibili, è fortunatamente a disposizione di tutti: un Capolavoro.
Sicuramente il passare degli anni offre serenità, saggezza e voglia di godersi le cose maggiormente importanti, le amicizie più rilevanti. Così, dopo la partecipazione di entrambi al disco Les Paul & Friends: American Made World Played e la condivisione dell’incontro con la Regina Elisabetta nel marzo 2005, durante un evento da Lei organizzato per onorare l’industria musicale, a Beck viene l’idea, nel novembre 2007, di invitare Eric come special guest al Ronnie Scott, luogo in cui sta svolgendo una serie di show. In una scaletta assortita che spazia dal jazz alla fusion, toccando il rock, l’R&B e un poco di soul, lambendo anche territori vicini al pop, c’è posto pure per un paio di pezzi di puro blues. Little Brown Bird e You Need Love lasciano attonito per magnificenza di performance anche un divertito Jimmy Page, nascosto tra il pubblico a godersi lo spettacolo come uno qualunque.
Forse questo è il momento più importante della storia dei due, scocca una scintilla che li unisce ancor di più, e il caso vuole che nel 2009 si trovino nello stesso periodo in Giappone per una manciata di show. L’occasione è irripetibile e da strategia di marketing si trasforma in momento indimenticabile: due fra i giganti delle sei corde eseguono il loro set per poi esibirsi sullo stesso palco in una serie di canzoni che intrecciano le proprie carriere e radici. Ogni istante di un loro brano invita a vivere uno stato d’animo diverso, sia per varietà ritmica, sia per la varietà dei colori del suono che gli strumenti propongono.
L’idillio è talmente riuscito da organizzare nei minimi dettagli alcune date l’anno successivo, il cosiddetto Together and Apart tour che tocca la capitale britannica per poi volare oltreoceano a New York e in Canada.
Il Crossroads Guitar di quel periodo ‒ il 2010 vede anche l’uscita di due album importanti nella carriera dei due, Clapton e, soprattutto, quel piccolo capolavoro di Emotion & Commotion ‒ naturalmente ospita i loro duetti e Shake Your Money Maker viene immortalata nel DVD dell’evento, uno degli highlight della kermesse. Beck partecipa pure agli altri due appuntamenti del Festival, 2013 e 2019, sciorinando sempre una classe e un ensemble sorprendenti e risultando di fatto uno dei momenti più attesi della manifestazione.
Dopo tre anni difficili a livello mondiale, tra le assurdità di una pandemia e una guerra ancora da decifrare, il 2023 inizia nel modo peggiore con la scomparsa, oltre a Jeff Beck, di alcuni artisti che hanno lasciato una traccia indelebile nella storia della musica: da David Crosby a Burt Bacharach, senza dimenticare Wayne Shorter, Gary Rossington e Ryūichi Sakamoto, citandone solo alcuni tra i più famosi. Proprio al funerale del chitarrista britannico, Clapton incontra svariati personaggi con cui ha incominciato la carriera negli anni Sessanta: nella tristezza dell’avvenimento si rinsaldano amicizie, si rinnovano intenti di collaborazione (Tom Jones duetterà con Eric in una vecchia hit r&b di Freddie Scott) e nasce l’idea dell’omaggio che si concretizzerà in due serate spettacolari piene di ospiti e sorprese il 22 e il 23 maggio alla mitica Royal Albert Hall.
In attesa di gustare la magia di quei prossimi giorni le meraviglie non finiscono mai quando Slowhand prende a cuore una questione; in febbraio, ospite inaspettato della Jerry Douglas Band durante le Transatlantic Session tenutesi a Londra in tal periodo, intona una canzone tradizionale irlandese suonata spesso ai funerali, un vecchio folk ripreso anche dai Dubliners intitolato Sam Hall, «un lamento per il mio amico Jeff», ed è recente e gradita notizia la riproposizione dello stesso brano durante il set acustico degli show giapponesi di aprile. Sempre nella terra nipponica viene per la prima volta eseguito un bellissimo e struggente strumentale nuovo di zecca, Blue Rainbow, inteso probabilmente come un altro sentito saluto a Beck, con la stratocaster bianca utilizzata in suo omaggio.
E così, quando la profonda amicizia prevale sulla rivalità, quando la stima reciproca supera ogni incomprensione, si possono raccontare storie commoventi come questa, anche se una di quelle persone non c’è più e quindi non vi è un lieto fine, e, anzi, ogni celebrazione e ricordo non fanno altro che creare un groppo in gola. Ma la magia della musica si nutre anche di concetti puri come trascendenza ed eternità, e l’epopea di due incredibili personaggi continua indipendentemente dalla presenza fisica. Sono le canzoni, le innovazioni e le invenzioni di ciascuno di loro a rimanere per sempre, insieme alle frasi celebri che suggellano un rapporto e un legame unico, laddove affetto, stima ed empatia vanno a braccetto con un pizzico d’ironia.
«Penso che sia uno dei chitarristi più singolari. E il più devoto. Da quello che so di Jeff, o aggiusta le sue auto o suona la chitarra. Non c’è una via di mezzo per lui.»
«È buffo come il personaggio di Eric sia stato impresso nella mia mente come un vero e proprio rompiscatole, una forza con cui fare i conti, un tipo lunatico, forse aggressivo. E non l’ho mai incontrato prima di aver fatto parte degli Yardbirds e di aver commesso quel terribile atto. L’avevamo già fatto arrabbiare immensamente arrivando in America prima che lui avesse la possibilità di andarci, e stavamo vendendo dischi ‒ due obiettivi che la maggior parte dei chitarristi rock & roll cercherebbe ‒, mentre lui si stava esibendo in un club con John Mayall per otto persone. Ho pensato, beh, almeno si impegna nel mio mestiere. E poi, guarda un po’, se ne esce con i Cream e ci prende tutti per i fondelli.»
Unici, goliardici, inimitabili!
Foto di Kevin Mazur
Versione inglese: link qui
Bellissimo articolo. Complimenti