Il Personaggio del Mese

Intervista a Mary Pellegrino

GENNAIO (a cura di Alessandro Vailati)

Ogni grande sogno inizia con un sognatore. Tu hai in te la forza, la pazienza e la passione per raggiungere le stelle e cambiare il mondo. <<<Harriet Tubman>>>

Fotografa, blogger, content creator, autrice di meravigliose recensioni letterarie, Mary Pellegrino è una donna irrefrenabile, che adora viaggiare, scrivere, cucinare e ascoltare musica, e custodisce tutte queste passioni nel profondo del cuore perché per lei da lì tutto passa, tutto scorre, ed è il luogo in cui si rifugia nella sua ricerca della bellezza. Il cuore comanda sempre questa frizzante ragazza pugliese, cittadina del mondo, capace di incantare quando libera tutta se stessa e brandisce una macchina fotografica: qualsiasi soggetto che passa dalle sue mani vive di luce nuova, prende improvvisamente vita e ci si sente catapultati dentro. Ora provate a immaginare che potrebbe accadere se tal soggetto fosse il cibo… ogni istantanea diventa arte e la sua prima opera su carta stampata, Balance Of Light And Dark, è un viaggio indimenticabile e sensuale in – per usare le stesse parole di Mary“tutto ciò che ho visto, ascoltato, letto, imparato, sofferto e amato fino a quel momento della mia vita.”

Occasione migliore non poteva esserci per trascorrere questo freddo mese di Gennaio in compagnia di chi ci può riscaldare gli animi tormentati e intorpiditi con i suoi amori, le sue passioni e la sua allegria, perché senza sogni, forza e pazienza non si può vivere e sperare di cambiare il mondo. Abbiamo fatto tante chiacchiere, ci siamo scambiati idee e guardato per un secondo dall’alto il mondo, senza riuscire a capirlo, ma scorgendone pertugi di bellezza, una bellezza che brilla intensamente, come le opere di Mary e come le sue parole, i suoi racconti e riflessioni in questa intervista: quante verità!

Viene Gennaio silenzioso e lieve, un fiume addormentato
Fra le cui rive giace come neve il mio corpo malato, il mio corpo malato
Sono distese lungo la pianura bianche file di campi
Son come amanti dopo l’avventura neri alberi stanchi, neri alberi stanchi

Cara Mary, Guccini gioca con gli opposti, il bianco e il nero, la purezza della neve e un corpo malato che ha bisogno di rigenerarsi, il brio iniziale di due amanti e la susseguente stanchezza nel rapporto; insomma, gennaio è il mese in cui tutto si resetta per ricominciare, è il periodo di rinnovamento e ricerca di energia…Ci sono un libro, una ricetta e una canzone che fotografano in pieno gennaio?

Caro Ale, devo confessarti che già da qualche anno non vivo più gennaio come il mese del nuovo inizio e dei mille “buoni propositi” elencati sul diario o chissà dove. Un tempo, in tal senso, somigliavo molto a Bridget Jones, la protagonista del romanzo di Helen Fielding. Se ci pensi, il primo gennaio è solo il giorno che segue il trentun dicembre. Cosa può mai cambiare dentro di noi in un lasso di tempo così breve? Sostanzialmente nulla. E infatti, per esperienza personale, posso affermare che ogni giorno può essere quello giusto per ritrovarsi, rinnovarsi, (ri)cominciare e impegnarsi in qualcosa che possa regalarci piacere e soddisfazione. Non ci serve un calendario, non ci serve una data… Il momento giusto per un nuovo inizio è fatto di rinnovate consapevolezze che affiorano autonomamente e ci portano inevitabilmente a un cambio di passo. Detto questo, dovendo scegliere un libro che possa in qualche modo “fotografare” il senso di gennaio, opterei per “Narciso e Boccadoro” di Hesse, perché trasmette messaggi importanti, come quello di non aver paura di vivere la vita con azzardo, di assecondare i nostri bisogni, di accettare la nostra vera natura e di imparare a convivere con tutte le nostre contraddizioni. In poche parole, è un invito a lasciar cadere tutte le maschere che indossiamo quotidianamente per compiacere gli altri, perché il raggiungimento della pace interiore non può prescindere dalla ricerca e dall’accettazione di quelli che sono i nostri tratti dominanti. In alcuni di noi domina il pensiero e in altri il sogno, in quello che è l’eterno contrasto tra razionalità e istinto. Ecco, penso che questa lettura potrebbe essere un buon punto di partenza per un nuovo anno, non trovi? La ricetta, invece – colorata, gustosa e confortante – è quella del pancotto con cime di rapa, crema di cannellini, aglio fritto e mandorle al miele. Sono pugliese, e pertanto le cime di rapa mi scorrono nelle vene 🙂 Come canzone, direi “Una somma di piccole cose” di Niccolò Fabi. Credo sia sufficiente leggere il testo per comprendere il perché di questa scelta.

In Balance Of Light And Dark il cibo prende vita e, lo dice proprio il titolo, vive in equilibrio tra luce e oscurità, come sospeso in un mondo etereo, in cui però si avvertono le vertigini della concupiscenza. Come sei riuscita a bilanciare questi effetti con uno stile così ben delineato, ricolmo di passione e allo stesso tempo con una tecnica micidiale?

Mi sono approcciata seriamente alla fotografia nel 2011, quando ho ricevuto in dono da mio padre una reflex per principianti, che in gergo tecnico viene chiamata “entry level”. Così, un bel giorno, mi sono ritrovata tra le mani questo aggeggio che di punto in bianco avevo iniziato a desiderare ardentemente. Non so spiegarti perché sia scattato in me questo desiderio, è stata una sorta di “chiamata divina” (ho virgolettato, perché non sono credente, o perlomeno, non lo sono in modo convenzionale), o forse un capriccio, tant’è che sto ancora cercando di unire tutti i puntini per capire cosa mi si è mosso dentro… E così, ripenso alla camera oscura in cui, più e più volte, ho visto sviluppare le foto (ero piccolissima, eppure l’odore di quegli acidi, mi è rimasto impresso) e poi a quel Natale di secoli fa (erano gli anni ’80) in cui mi è stata regalata una Polaroid (conservo ancora l’album che raccoglie tutte le istantanee che avevo scattato), e poi alla Nikon a pellicola di mia mamma… Insomma, come dicevo, ho iniziato a desiderare una macchina fotografica, e quando l’ho ricevuta in dono, non sapevo bene cosa farci. Non sapevo assolutamente nulla di ISO, diaframma, tempi di scatto, gestione della luce e delle ombre e chi più ne ha, più ne metta. Dopo un breve periodo passato a scattare foto senza avere alcuna cognizione di ciò che facevo e perché lo facevo, un giorno, all’improvviso, mi è scattato dentro il desiderio di imparare seriamente l’arte della fotografia. E così, ho iniziato a sperimentare, a studiare e a trascorrere quasi tutto il mio tempo libero dietro l’obiettivo. Sono una fotografa autodidatta e forse è per questo che in me, tra tecnica e istinto, vince sempre il secondo. Sono le emozioni a guidarmi, lo stato d’animo del momento, il modo in cui i miei occhi si posano sulle cose e anche il modo in cui le immaginano… Vedi, il momento in cui si scatta una fotografia è solo il punto di partenza. Il bello arriva dopo, con lo sviluppo. È quella la fase in cui il fotografo trasferisce a un’immagine, a quella che era stata la sua intuizione iniziale, la propria anima, la propria visione della realtà. Perché ciascuno di noi, nella sua testa, custodisce la propria idea di mondo ideale. E questo mondo ideale, oltre a tutto il resto, possiede anche una sua estetica. Il mio, ad esempio, è fatto di colori vibranti, di contrasti netti, di luci e ombre che si rincorrono. Non so dirti come riesco a fare ciò che faccio. Credo che certe cose, come il processo creativo, non si possano spiegare a parole. È una scintilla. Quando scatto foto, entro in una sorta di dimensione parallela. Perdo il contatto con la realtà e inseguo la luce che mi piace. È lei a dettare i tempi della mia fotografia. So solo che la mia vita, oggi, se non avessi una macchina fotografica da stringere tra le mani, perderebbe parte del suo senso.

Un artista ha una spiccata sensibilità, assorbe gli stimoli dell’ambiente in maniera più marcata, ha una passione – che lo fa stare tanto bene – per il bello, il cui concetto astratto e poi concreto è aggrovigliato in quello di arte, ma, altra faccia della medaglia, prova sofferenza in consistenza maggiore degli altri esseri umani. Non scende a compromessi, non si assoggetta al pensiero unico, ha un caleidoscopio di verità, non si ferma mai alla prima… come potrebbe altrimenti creare al di fuori dei canoni? Quanto ti riconosci in tali affermazioni e qual è stato il tuo percorso artistico?

Mi ci riconosco totalmente. Infatti, detesto l’omologazione e a seguire le etichette con cui, oggigiorno, va molto di moda classificare le persone, il più delle volte, per schernirle. È dilagante il desiderio di “ingabbiare” tutto, di creare recinti, come se esistessero solo il bianco e il nero e non potessero in alcun modo mescolarsi tra loro per dar vita a infinite sfumature di grigio. Forse la libertà ci fa paura? Non saprei… Quanto al provare sofferenza, a volte penso che l’empatia sia una sorta di maledizione, perché sento tutto, tanto. Sono una privilegiata e lo riconosco, però non riesco a voltarmi dall’altra parte e a fingere che vada tutto bene. Non riesco a non pensare agli invisibili, al disagio di chi non è stato fortunato come me e non ha avuto le mie stesse possibilità e opportunità. Una società che si dimentica degli ultimi ha fallito. Ha fallito una società che non offre pari opportunità a tutti e poi si riempie la bocca con la parola “merito”. Come si fa a valutare il vero merito se il punto di partenza non è lo stesso? Si è perso di vista il significato di umanità e di cosa significhi essere umani. La vita è una sola e dovremmo cercare di viverla al meglio delle nostre possibilità, in pace, amore, armonia e bellezza, e non arrancando e correndo per tutto il tempo, come tanti soldatini senz’anima. Credo che le mie foto siano una somma delle mie emozioni, dei miei stati d’animo, dei miei disagi e di tutte le mie esperienze. E mi riferisco soprattutto alle foto che scatto durante i miei viaggi, quelle in cui cerco di catturare i luoghi, ma anche le persone che ci vivono, immerse nella loro quotidianità. Perché una fotografia può immortalare la verità, ma può anche mistificarla. Può enfatizzare il bello ma anche il brutto. A distanza di anni, mi porto ancora dietro il ricordo degli occhi azzurrissimi di un giovane senzatetto di Liverpool. Faceva freddissimo e lui se ne stava seduto per terra, con la testa bassa. Mentre passavo davanti a lui, l’ha sollevata. Ci siamo guardati negli occhi per una manciata di secondi, che a me sono sembrati un’eternità. Mi sono allontanata, ma dentro avrei voluto urlare, perché durante quel viaggio, in quella città splendida da un punto di vista estetico, di persone in difficoltà ne ho incrociate troppe, come non mi era mai capitato prima. Le lacrime mi rigavano il viso. Sono tornata indietro, mi sono inginocchiata davanti a lui. Ha alzato la testa e mi ha guardata ancora una volta negli occhi. Gli ho donato le 10 sterline che avevo in tasca e sono andata via, senza dirgli una parola. Ma in fondo, non era necessario. Ecco, lui non l’ho fotografato con la mia macchina fotografica, ma solo con i miei occhi.

Già nella cultura tardo-antica l’uomo è definito viator per indicare il mestiere del messaggero, ma successivamente questa espressione viene usata per descrivere in senso figurato la condizione più generale dell’uomo “viandante”, “pellegrino”. Anche nell’universo biblico, sia nell’Antico, sia nel Nuovo testamento il tema della via o dell’uomo pellegrino ricorrono di sovente, sotto forma di metafora o di accadimento storico. Tu ce l’hai già nel cognome il fatto di essere messaggera, dentro di te è innato l’essere viaggiatrice, ti senti predestinata?
Nomen omen, direbbero i latini. Ci ho pensato spesso a questa cosa del cognome, sai? Non so se sono predestinata, però viaggiare, per me, è una vera e propria esigenza. È ossigeno, nutrimento, conoscenza ed esperienza. È da quando sono piccola che giro in lungo e in largo e per questo devo ringraziare i miei genitori che mi hanno dato l’imprinting. L’unico problema è che quando viaggi è inevitabile fare confronti tra le altre nazioni e la nostra. Amo l’Italia, che sia chiaro, ma non appartengo alla categoria di quelli che si riempiono la bocca con espressioni del tipo “come l’Italia non ce n’è”, perché sono consapevole che abbiamo ampissimi margini di miglioramento, in tutti gli ambiti. A tal riguardo, non ti nascondo che sempre più spesso accarezzo l’idea di trasferirmi all’estero, magari in Spagna, perché più passa il tempo e più il mio disagio e senso di sconforto aumentano. Fa male vedere che una nazione come la nostra, dotata di immense potenzialità, sta cadendo a pezzi, e non solo in senso figurato, perché a prevalere sono sempre gli interessi di una minoranza elitaria. Non che altrove sia tutto perfetto, però c’è più equilibrio. Quindi chissà… magari il mio cognome vuole indicarmi una via, un futuro altrove.

Durante la nostra esistenza tendiamo a convincerci che alcune cose possano durare in eterno, dall’amore adolescenziale al tifo per una squadra e così via. Forse è per questo che, andando avanti negli anni, subentrano a volte tristezza e disillusione. L’unica cosa che davvero sembra perenne, a parte eventualmente gli affetti familiari, è il libro, specie se racchiude conoscenze millenarie. Viene passato di generazione in generazione e sta lì sul comodino del bambino appena addormentato o su quello di mamma o di qualunque sognatore. Che ha di così magico un tomo?

I libri occupano da sempre un posto speciale nella mia vita. L’educazione alla lettura la devo a mia madre, infatti, conservo ricordi bellissimi delle nostre frequenti incursioni in libreria, fin da quando frequentavo le elementari. Pertanto, convengo quando scrivi che i libri sono magici, perché un buon libro può insegnare, educare, stimolare il pensiero critico, aprire a mondi nuovi e far viaggiare pur restando fermi. Ci sono libri che scavano solchi profondi nelle nostre esistenze, forse perché i protagonisti di alcune storie hanno il potere di farci sentire compresi e meno soli, o perché ci aprono gli occhi e ci spingono a fare riflessioni sempre nuove e a mostrarci prospettive alternative con guardare alla vita e alle cose. Ci sono libri che non ci lasciano mai, e che anche dopo aver terminato, tornano a chiamarci. E ce ne sono altri che letti in età e fasi diverse della vita, ci fanno provare emozioni nuove. Per dire, in questo periodo sto rileggendo “L’insostenibile leggerezza dell’essere” di Kundera. Il mio punto di vista sui personaggi e sulle loro storie è cambiato radicalmente rispetto a quando avevo quindici/sedici anni, perché a quell’età non possedevo gli strumenti necessari (e nemmeno l’esperienza), per riuscire a comprendere fino in fondo. Anzi, ricordo che ero profondamente turbata, perché la mia idea di amore puro ed esclusivo, veniva sistematicamente tradita, capitolo dopo capitolo. Ma a sedici anni, cosa vuoi saperne della vita e dell’amore? E in fondo, è anche giusto così. Perché bisognerebbe godere il più a lungo possibile dell’incanto e dell’illusione tipiche della giovinezza.

Guardiamo in fondo ai nostri cuori: che cosa vi troviamo?

Una passione che il tempo ha soltanto attutito senza riuscire a estinguerne le braci.

Le Braci di Sándor Márai è, come racconti in una tua splendida recensione su Loudd.it, “un libro semplicemente straordinario, imprescindibile.” Quali sono le tue opere preferite e cosa consiglieresti a un ragazzino, a un adolescente, a un genitore e a un nonno?

Non è una domanda semplice, sai? Innanzi tutto, sono tantissimi i libri e gli autori che amo, uno su tutti è Cesare Pavese. Trovo “Dialoghi con Leucò” di una bellezza disarmante. Uno dei libri più inusuali che ho letto è “Rayulela – Il gioco del mondo” di Cortázar. “Stoner” di Williams mi ha rubato il cuore. Per non parlare dei grandi classici, come “Madame Bovary” di Flaubert o “Bel Ami” di Guy de Maupassant, e moltissimi altri, perché i libri sono i miei migliori amici e la consapevolezza che non mi basterà una sola vita per riuscire a leggere tutto ciò che vorrei, mi procura dolore. Per dire, in questo momento provo un certo senso di colpa, misto a dispiacere, per non aver citato molti altri libri e autori straordinari. Comunque, consigliare un libro a qualcuno è sempre una grandissima responsabilità. Se i destinatari del suggerimento sono i giovani, quella responsabilità aumenta, perché i ragazzini di oggi saranno gli adulti di domani. Consigliare il libro giusto, nella migliore delle ipotesi, potrebbe significare avvicinarli alla lettura per sempre, un po’ come è accaduto nel mio caso con “La ragazza di Bube” di Cassola. Al contrario, il libro “sbagliato”, potrebbe produrre l’effetto contrario. Basti pensare alla scuola: gli insegnanti giusti te la fanno amare, quelli sbagliati te la fanno odiare (e qui, potremmo aprire un capitolo a parte). Oggi, poi, viviamo nell’epoca in cui i modelli da seguire sono gli “influencer” e i facili guadagni; pertanto, è ancora più difficile riportare questi ragazzi con i piedi per terra e fargli capire che ciò che potrà realmente elevarli e renderli liberi è la conoscenza. Detto questo, a un ragazzino suggerirei “Momo” di Michal Ende, a un adolescente “Il giovane Holden” di J.D. Salinger e a un genitore “Il peso” di Liz Moore. Quanto ai nonni, “Le nostre anime di notte” di Haruf.

La Musica ha il potere trascendentale di cambiare la vita, e qui in MusicPhilò ne abbiamo parlato spesso. Mi piacerebbe una tua riflessione riguardo a questo concetto e sono curioso, visto che sei anche un’esperta, di sapere i titoli dei dischi che hanno scavato una galleria nel profondo del tuo animo.
Non mi definirei un’esperta, ma una grandissima amante sì. La musica fa parte della mia vita da sempre. Pensa che una delle mie più grandi conquiste, da adolescente, è stata quella di riuscire ad avere uno stereo nella mia cameretta. Ne avevamo uno anche in soggiorno, ma ascoltare musica nell’intimità della mia stanza, con le cuffie sulle orecchie, era tutta un’altra cosa. Era lì che facevo girare i miei vinili, quelli che correvo a comprarmi con la paghetta settimanale. Altri riuscivo a farmeli regalare da mio padre quando andavamo insieme alla Ricordi, in Duomo, a caccia di novità. Che bei tempi, quelli… Sono cresciuta ascoltando di tutto, perché a casa mia la musica non mancava mai: Dalla, De Gregori, Guccini, James Taylor, Dylan, Jackson Browne, Bowie, Cat Stevens, Springsteen e poi tutto ciò che girava attorno alla musica pop degli anni ’80 e ’90; Duran, Spandau, Culture Club, Simple Minds, Genesis, solo per citarne alcuni. Quelli sono stati gli anni che hanno segnato la mia adolescenza e pertanto credo sia più che normale che occupino un posto speciale nei miei ricordi. Quanto ai dischi, ce ne sono tantissimi… “The Queen Is Dead” (The Smiths), “Grace”(Jeff Buckley), “Hats” (The Blue Nile), “Pornography”(The Cure), “Tea for the Tillerman”(Cat Stevens), “The Lioness” (Songs: Ohia), “O”(Damien Rice), “Rimmel”(Francesco De Gregori), “Parade” (Spandau Ballet), “Via Paolo Fabbri 43”(Francesco Guccini), “Down colorful Hill” (Red House Painters), “For Emma, Forever Ago”(Bon Iver), Lucio Dalla (Lucio Dalla), Some Kind of Peace (Ólafur Arnald) e potrei continuare all’infinito. È vero che la musica ti cambia la vita, ma mentre lo fa, cambia anche te. Può portare luce, speranza, può tenerti con la testa sott’acqua, può lanciare messaggi, può farti riflettere, può raccontarti storie che non conoscevi e può unire. Può lenire un dolore o può, masochisticamente, tenerti lì a crogiolartici dentro. La musica è la colonna sonora delle nostre esistenze, ci cammina accanto “mentre tutto scorre” (hai colto la citazione musicale?). Segna momenti importanti e contribuisce a rendere alcuni ricordi indelebili. La musica, se vogliamo, è anche un modo alternativo per raccontare e insegnare la storia, perché la musica è storia. Racconta di epoche passate. Racconta il presente e racconterà il futuro. La musica è evoluzione e cambiamento. La musica, detta assai banalmente, è viva ed è vita.

Dafne’s Corner è ormai un blog storico, seguitissimo, presente anche con una pagina Facebook e Instagram, in cui convivono tutte le tue passioni. Raccontaci come è nato, come si è evoluto e i tuoi progetti futuri a riguardo…

Il Dafne’s Corner è nato nel settembre del 2011, così, d’emblée, senza alcun tipo di premeditazione. Era lo stesso anno in cui mio padre mi aveva regalato la reflex (nel mese di agosto) e io stavo attraversando una fase piuttosto complicata della mia vita e probabilmente avevo bisogno di una via di fuga, di un diversivo, da una realtà che si faceva sempre più pesante. Così, vista la mia passione per il cibo (ai fornelli me la cavo piuttosto bene), ho pensato che potesse essere quello il filo conduttore della mia casetta virtuale. E così è stato. Mi sono affacciata in punta di piedi in un mondo di cui non sapevo assolutamente nulla e ho cominciato a lanciare i miei contenuti in rete. Ricette semplici, corredate da introduzioni discutibili e foto orrende. Non è stato facile, e in più di una circostanza ho pensato di mollare, perché per mesi interi mi sembrava di parlare da sola, non mi cagava nessuno (si può scrivere “cagava”? O è da maleducati?). Poi, all’improvviso, il primo commento, e il secondo e poi il terzo… Insomma, dopo circa 4/5 mesi, il mio piccolo blog ha cominciato a ricevere qualche attenzione e io ad “affinare” le mie qualità di blogger. Ho iniziato ad aprirmi sempre più e a trasformare quello spazio in una sorta di diario, attraverso il quale condividere pensieri, stati d’animo, musica e naturalmente ricette. Pertanto, avendo tra le mani un blog che si proponeva di parlare soprattutto di cibo, è stato del tutto naturale cominciare ad affinare la mia tecnica fotografica immortalandolo. Grazie al blog, in tutti questi anni, ho partecipato a progetti importanti, ho fatto molte esperienze bellissime, sia umane che professionali, e ho conosciuto tantissime persone. Anzi, ti dirò che la cosa più bella che mi ha donato il blog, sono proprio i rapporti umani. Sono nati, e ancora resistono, molti rapporti di amicizia veri e sinceri. Alcuni continuano ad essere vissuti solo in modo “virtuale”, perché non ci sono state occasioni d’incontro, e altri, invece, anche da vicino. Anzi, un pensiero e un ricordo affettuoso vanno ad Aldo, avrebbe potuto essere mio nonno. Mi leggeva assiduamente e mi scriveva spesso delle mail dolcissime. Purtroppo, non c’è più. Non ha mai dimenticato un mio compleanno… Detto questo, vorrei sottolineare che sono una blogger anomala, perché ancora oggi, me ne frego di cose come il SEO, indicizzazioni e via dicendo. Per me il Dafne’s Corner è uno spazio di libertà e anarchia che voglio vivere per puro piacere. È una piccola oasi, uno spazio protetto in cui rifugiarmi. L’unico rammarico è che oggi i blog non sono più luoghi frequentati come un tempo. Sotto ogni post si scatenava l’inferno, fioccavano fior di commenti ed era un botta e risposta continuo. Oggi, invece, si è riversato tutto su social come Instagram o Facebook (che io non amo particolarmente). È tutto molto più “fast”, “smart” e cose così. Ma io resisto… Finché sentirò dentro di me la spinta per andare avanti, non mollerò di un centimetro. Pertanto, il mio intento è di continuare ancora su questa stessa strada…

E gli altri progetti futuri? Libri che immortalino i tuoi viaggi o un sequel del primo? E poi, finalmente, dopo le bellissime interviste, leggeremo una tua recensione di musica?
Al momento non ci sono altri libri in vista, ma come si dice? Mai dire mai. Ecco, non ti nascondo che mi piacerebbe molto pubblicare un libro di ricette (corredato da foto) e poi, allontanandomi dal mondo del food, un libro che raccolga le foto che ho scattato durante i miei viaggi e che mi consenta, magari, di affiancare agli scatti anche pensieri o racconti. Lavoro anche come fotografa freelance. Proprio in questi giorni ho realizzato una serie di scatti per un brand di fragranze.
Grazie per il tuo apprezzamento per le mie interviste… Quanto alle recensioni di musica, chissà… magari un giorno troverò il coraggio di lanciarmi anche in questa nuova avventura. D’altro canto, fino a una manciata di anni fa, mai e poi mai avrei pensato di mettermi a scrivere recensioni letterarie o di fare interviste. Non mi precludo nulla, perché per natura detesto le gabbie (per dire, anche con la fotografia non mi sono voluta mai cucire addosso l’etichetta di foodblogger o food photographer) e amo sentirmi libera di provare tutto ciò che mi passa per la testa.

Ora è il momento di parlare un po’ della Mary Pellegrino “privata”: che ti succede se vedi sgattaiolare Mirtillo? Raccontaci un poco di te…

Non mi viene facile parlare di me a ruota libera. Sono una persona normale, con tantissimi interessi, talmente tanti che non so più come dividermi. L’unica soluzione sarebbe quella di avere giornate da 36 ore… A chi posso rivolgermi? 🙂 Sono laureata in giurisprudenza, anche se avrei desiderato laurearmi in lettere moderne, e svolgo un lavoro molto tecnico e razionale che occupa buona parte della mia giornata. Sono sposata, non ho figli, ma da un anno e mezzo ho un gatto: Mirtillo. Un raggio di sole tenero e peloso che ha il potere di farmi dimenticare in un istante tutti i problemi e le difficoltà affrontate durante il giorno. Non appena rientro a casa lui è lì, che mi aspetta dietro la porta. Certe volte mi saluta con un “miao”, altre, invece, si stende ai miei piedi pancia all’aria e aspetta che lo coccoli, e magicamente il mio respiro rallenta e tutte le tensioni svaniscono.

L’ultima domanda ritorna a quel capolavoro di Food Art and Photography che è Balance Of Light And Dark. Attraverso la fotografia riesci a raccontare storie senza l’ausilio di parole e, per dirla con una tua frase “a solleticare la fantasia e i sensi di chi guarda, perché il cibo non è solo nutrimento per il corpo, ma anche per gli occhi e l’anima.” Ebbene quando ammiro il tuo operato mi ritrovo in pieno in questa descrizione e non ti nascondo di avere le mie immagini preferite e di adorare l’intuizione di inserire brevi citazioni di George Eastman, Neil Leifer, Elliott Erwitt, Diane Arbus e August Sander. Quali sono le tue foto favorite e, con l’umiltà che ti contraddistingue, che cosa hai imparato da questi grandi artisti?

Sai che non saprei dirti quali sono le fotografie che preferisco? È difficile scegliere, perché sono tutte figlie mie. Per dire, sul blog sono ancora presenti le mie primissime (e bruttissime) foto. Quelle scattate senza un minimo di criterio… Eppure, quando mi capita di ritrovarmele sotto gli occhi, anziché vergognarmi per quegli obbrobri, mi emoziono. Provo un misto di tenerezza e commozione, perché in quegli scatti sono presenti parti di me che non ci sono più. Sono momenti della mia vita, del mio percorso e della mia crescita, non solo artistica, ma anche umana. Ogni singola foto è stata prima concepita e poi partorita… Sono figlie di momenti diversi, di stati d’animo diversi, di approcci diversi. Perché si cambia sempre, non si resta mai fermi, e questo vale per la mia fotografia e per quella di chiunque altro. È la curiosità che spinge a ricercare sempre nuovi modi per esprimersi, a sperimentare nuove tecniche. Quanto agli artisti che hai (e ho) citato, sono per me grande fonte d’ispirazione visiva. Non so dirti se da loro ho imparato qualcosa, ma grazie a loro, mi si sono riempiti gli occhi di bellezza. Di una bellezza destinata a durare in eterno, perché è proprio questo il grande potere della fotografia, la sua magia, quello di rendere eterno un singolo istante.

Caro Ale, vorrei ringraziarti per avermi scelta e per le tue domande acute e profonde che mi hanno consentito di intraprendere questo piccolo viaggio e poi, naturalmente, un grazie anche ad Alberto, per avermi ospitata nel suo splendido blog.

link

Blog: www.angolodidafneilgusto.com

Instagram: www.instagram.com/dafnes_corner/

Fb: https://www.facebook.com/angolodidafneilgusto

4 thoughts on “Il Personaggio del Mese
  1. Intervista intensa, emozionante, colma di stimoli culturali ad ampio spettro.
    Tanto di cappello ad intervistata e ad intervistatore.
    Lo dico con estrema obiettività da ex insegnante, pur essendo la madre dell’intervistata.
    Grazie.

  2. Non ho parole per definirti. Solo adesso ho avuto modo di conoscerti e m’inchino alla tua Professionalità, alla tua Arte che è e sarà sempre una Eccellenza.

  3. Brava Mary, bellissima intervista. Ti ammiro e ti stimo per i tuoi molteplici interessi, la tua voglia di vita e il tuo andare sempre avanti. Un abbraccio forte

Comments are closed.