Il Personaggio del Mese

Intervista a Marco Ghizzoni

Febbraio (a cura di Alessandro Vailati)

L’arte ha la capacità di rivelare la vera vita di un popolo, di una comunità, di una cultura.

Fruire l’arte significa essere in grado di vivere altre vite, di osservare e di ascoltare l’altro.” <<<Gianluca Floris>>>

Arte deriva da due termini del sanscrito che vogliono dire sia “muovere” che “suscitare”. La radice ariana ar- la ritroviamo nel latino ars, artis. E muovere e suscitare (nel fruitore) sensazioni, ragionamenti, intuizioni, ecc. è ancora oggi il ruolo dell’arte e degli artisti.

Chiacchierare con Marco Ghizzoni significa affrontare a 360 gradi questo argomento, condensare e cristallizzare i punti cardine dell’esistenza, laddove mistero, stupore e bellezza si saldano e si elevano per staccarsi dalla materialità e ritualità del quotidiano. Ogni sua parola è una conquista, una scoperta, tanto sono l’entusiasmo e la curiosità immessi dall’autore di libri di successo come Il cappello del maresciallo e di pamphlet spiazzanti come Violino, in cui si ricostruisce la storia di Stradivari, finalmente visto in ottica diversa e sconosciuta, molto più intrigante e veritiera di quanto si era a conoscenza sinora.

D’altronde chi meglio di un cremonese doc poteva narrare con arguta ironia la vita di provincia ed elucubrare sul famoso liutaio coi natali a un passo dal Torrazzo? Ma il buon Marco non è solo un raffinato e duttile scrittore, doti evidenziate anche in una serie di racconti toccanti ne il muro sottile; la sua urgenza di sapere e capire l’ha reso fin dall’infanzia appassionato di musica – il ragazzo è pure un valido batterista –, lettura e viaggi, visti come motivo di studio, per ammirare la bellezza sottesa nelle note, nelle parole e nei paesaggi.

Vivere altre vite, osservare e ascoltare l’altro” fanno parte della storia di Marco Ghizzoni, che a sua volta ha instillato tali cose in chiunque abbia potuto o voluto avvicinarsi alle sue opere ed è veramente un onore averlo come Personaggio del mese qui a MusicPhilò, a scaldare con la sua energia e cultura questo freddo, freddo Febbraio.

Quando ero piccolo m’innamoravo di tutto
Correvo dietro ai cani
E da marzo a febbraio mio nonno vegliava

Sulla corrente di cavalli e di buoi
Sui fatti miei, sui fatti tuoi

E al Dio degli inglesi non credere mai

Caro Marco, a Febbraio è nato De André, sommo artista dall’atteggiamento schivo e autoironico, un uomo di famiglia borghese che è riuscito a bacchettare e ridicolizzare meglio di altri la sua classe sociale, forse proprio perché la conosceva bene. In Coda di lupo Fabrizio racconta la vita del protagonista della canzone e sintetizza nella fanciullezza, simbolo di innocenza, libertà e scoperta istintiva del mondo e dell’esistenza stessa, l’unica vera parentesi di autentica felicità. Si nasce liberi, ma poi si deve, per forza di un sistema di regole imposte, vivere vincolati, perdendo il rispetto della natura e dell’umano. Quanto ti riconosci in queste affermazioni? Sbaglio o nei tuoi protagonisti dei libri si intravede lo scherno nei confronti del perbenismo e l’anelare verso valori primordiali persi durante la crescita?

Ciao Ale, innanzitutto grazie a te, a Alberto e a tutti gli appassionati lettori di MusicPhiló per l’invito. Non sbagli per niente: nei miei romanzi, lo scherno, la satira e la parodia verso il perbenismo, le regole sociali imposte e la bieca accettazione degli status symbol sono voluti e costanti e, per farlo, mi avvalgo proprio di quei cliché duri a morire a cui De André si riferisce spesso nelle sue sue canzoni, per ribaltarli e scardinarli. Se la borghesia è andata sparendo, non si può certo dire lo stesso delle sue meschine ambizioni, della sua voglia di apparire e uniformarsi per essere qualcuno e fare parte di quelli che contano, le quali hanno ormai permeato l’intero tessuto sociale illudendo l’individuo di poter avere tutto ciò che desidera, seppur a scapito degli altri, e di fingere di esser ciò che non è. Ecco, sono proprio queste, a mio avviso, le gabbie mentali peggiori, perché autoimposte e quindi impossibili da forzare, comode e confortevoli per chi le adotta e non saprebbe cosa farsene della libertà. Libertà di pensare con la propria testa, di decidere, di scegliere chi essere. La chiave che utilizzo è quella dell’ironia, forte dell’assunto latino “ridendo dicere verum”, e perché è sempre meglio ridere che piangere, n’est-ce pas?

La “trilogia” di romanzi Il Cappello del maresciallo, I peccati della bocciofila e L’eredità del Fantini (tutti pubblicati da Guanda editore) è ben congegnata, fa innamorare dei personaggi all’interno della storia – personalmente ho un debole per il rigoroso appuntato Cannizzaro – e lascia traspirare la vita di provincia, con le sue ansie e noie, ma anche tanta intraprendenza. Come ti è venuto in mente di ambientare gli episodi a Boscobasso e chi sono i tuoi maestri ispiratori?

Boscobasso è un luogo di fantasia toponomastica ma non certo umana, che possiamo fare coincidere con il Bosco ex Parmigiano (borgo di mille anime in quel di Cremona) dove mia madre ha avuto un bar – osteria per quasi vent’anni. Anni di formazione, in cui ho potuto osservare, vivere e assorbire involontariamente storie e dinamiche della vita di provincia che hanno sedimentato dentro di me e sono venute a galla quando ho iniziato a scrivere sul serio. Si tratta di un microcosmo che riflette quel macrocosmo che è il nostro paese e che, come una lente di ingrandimento, mi consente di analizzare ed esaltare i particolari: vizi (tanti), virtù (poche), peccatucci, invidie, gelosie, pettegolezzi, arrivismo e scorciatoie. Uno sguardo leggero, una sbirciatina dal buco della serratura non già per rivelare quanto per svelare ciò che si nasconde dietro la calma apparente e le sue maschere. Questo credo sia uno dei compiti di uno scrittore o perlomeno quello che mi sono prefissato.

Credo che tutte le letture fatte, che sto facendo e che farò influenzeranno e ispireranno costantemente la mia scrittura, ma se devo citare i “maestri ispiratori” non posso non fare i nomi di Aldo Busi, Giovannino Guareschi, Mario Soldati, Piero Chiara, Andrea Vitali, Mario Biondi, Roberto Piumini e Francesco Recami.

«Scoperto dove si trovava la bottega, (il commissario Valentina Raffa) aveva preso a passarci davanti ogniqualvolta metteva piede fuori dalla Questura. Va detto che via dei Tribunali, sede di quest’ultima, e via Sicardo, dove lavorava Peter, non è ‘sta gran distanza, ma nemmeno sono due passi; c’è da camminare, ecco, e bisogna passarci davanti apposta, soprattutto se la propria residenza si trova nella direzione opposta. A ogni modo, un po’ di moto non guasta mai. E insomma, a forza di capitarci davanti con fare ostentatamente distratto e casuale era accaduto l’inevitabile: un frontale in cui il povero liutaio aveva avuto la peggio. Caviglia slogata e corsa al pronto soccorso, dove, complici le tre ore di attesa, i due avevano approfondito la conoscenza».

<<<Estratto da gli Accordi di Stradivari, pagg. 14,15>>>

Dalla commedia di paese al giallo de gli Accordi di Stradivari (Tea editore), stavolta con location nel capoluogo di provincia. La tua carriera di scrittore è sempre in evoluzione e ti conduce, in seguito, al rinomato pamphlet sul mitico liutaio. Raccontaci un po’ tutti questi passaggi e, poi, sarei davvero curioso di sapere quanto, secondo te, Stradivari abbia influenzato la musica moderna…

Parto dal pamphlet su Stradivari, poiché si è trattato della mia prima e finora unica opera su commissione: Oligo editore mi ha chiesto un volumetto di trentamila battute da inserire nella sua collana “Piccola biblioteca Oligo” a partire dalla parola Violino, e io ho accettato a patto che potessi raccontare gli aspetti più misteriosi, enigmatici e prosaici del più grande liutaio di tutti i tempi. Un personaggio tanto sfuggente quanto sono immortali i suoi strumenti, emancipatosi dalla condizione di famiglio grazie a un matrimonio riparatore con una donna resa vedova da un omicidio commesso dal fratello e di cui non conosciamo il vero volto poiché mai si fece ritrarre. Un uomo estremamente moderno che siglò accordi di mercatura per fare sì che i suoi strumenti venissero acquistati non solo dai musicisti ma anche dai collezionisti e che fu in grado di sbaragliare la concorrenza. Tuttavia, la sua impresa più grande fu quella di superare il maestro, il grande Nicolò Amati, modificare la forma e la dimensione dei violini realizzati fino a quel momento e – tramite alcuni accorgimenti come la bombatura, la costruzione del manico a incastro e la forma delle effe – inventare il violino moderno, quello che si costruisce ancora oggi. Nel ‘700 la musica non è più solo “da camera” ma inizia a essere suonata nei teatri, dove la debole voce degli strumenti costruiti fino a quel momento non sarebbe stata udibile al vasto pubblico: Stradivari fu in questo un precursore.

Gli accordi di Stradivari, invece, nasce in tempi non sospetti e ben prima del pamphlet come omaggio alla mia città, partendo proprio dal suo cittadino più illustre. Il giallo riguarda la sparizione di uno dei suoi strumenti, il Conte de’ Fontana, nel tragitto dal teatro Ponchielli – a cui era stato prestato per un concerto – al museo del Violino, dove è custodito per un’esposizione. Il tono è sempre quello ironico e canzonatorio dei primi tre, ma la vera protagonista è Cremona, con i suoi vicoli, i suoi monumenti, le sue piazze e il sincronico fiume Po. Tanto è vero che mi hanno onorato della possibilità di indicare i miei cinque luoghi del cuore nella guida turistica realizzata da Anna Tonini per l’editore Odòs. In questo romanzo mi sono divertito a fare la satira del potere da due soldi costruita sul ribaltamento dei ruoli: buono e cattivo, giusto e sbagliato si scambiano in continuazione, al punto che risulta difficile condannare o assolvere qualcuno.

«Cadde giù da un incubo e si ritrovò sul letto, da sola. Lui dormiva ancora da qualche parte in casa, poteva sentirne il russare regolare. Una volta in bagno, sfuggì allo specchio per non dover fare i conti con i segni che le violenze le avevano lasciato, ne avrebbe comunque indovinato i contorni dal dolore che avrebbe avvertito nello strofinare la pelle sotto la doccia».

<<<Estratto dal racconto L’ultima volta, pubblicato in il muro sottile>>>

«Maral, questo il nome della ragazza, è persiana. La terra in cui è nata racconta di sogni e di favole, ma la sua vita ha conosciuto soprattutto violenza e privazioni. Solo l’amore della sua famiglia l’ha salvata, e la scelta di andarsene da lì. Nei suoi ricordi la fuga sa di caldo e di sabbia, di stelle e albe infuocate».

<<<Estratto dal racconto La corsa di Maral, pubblicato in il muro sottile>>>

I dieci racconti presenti nella tua collaborazione con Oligo, il muro sottile commuovono, fanno riflettere e anche incazzare. Hai svolto davvero un ottimo lavoro: come sei arrivato alla scelta delle tematiche e perché hai deciso di includerli in quell’ordine? Ve ne sono altri non pubblicati che potevano rientrare nell’opera?

I dieci racconti che compongono questa raccolta sono nati in tempi diversi, scritti nelle pause tra un romanzo e l’altro, con la curiosità di confrontarmi con la misura breve: la più insidiosa, la più complicata da gestire. Solo rileggendoli in un secondo momento mi sono accorto che potevano essere tutti ricondotti a una diversa sfaccettatura del dolore: quello tragico, quello resiliente, quello necessario per affermarsi in quanto individuo, quello utilizzato come vendetta, fino alla totale e inaspettata assenza di esso. È come se, senza accorgermene, la scrittura di questi racconti avesse avuto su di me una funzione apotropaica e fossi riuscito in questo modo a tenere lontano ciò che più temo. Persino la lingua è molto diversa rispetto a quella dei romanzi, più tersa e lirica, per nulla ipotattica, di ampio respiro. Il racconto, soprattutto se breve, procede in verticale, e quindi in profondità – a differenza del romanzo la cui scrittura è orizzontale, poiché si sviluppa in lunghezza – e ti dà la possibilità di cogliere l’attimo, l’epifania prima del cambiamento o il cambiamento stesso. Non importano né il prima né il dopo, il che, a volte, è una liberazione.

L’ordine che ho scelto è meramente cronologico in termini di stesura, e ritengo conclusa in sé la raccolta. Ne ho pronta un’altra dozzina che confluirà in un libro diverso e, soprattutto, con un titolo diverso, poiché non sarà più il dolore il fil rouge, bensì le relazioni tra gli esseri umani, con tutte le loro fragilità.

La modernità è avere un pezzo di terra e imparare a coltivare le patate. Fatelo al più presto, perché questo “train de vie” non è sostenibile. Questa è la modernità, non è l’i-pad, lo smartphone, il tablet, possedere mille strumenti per comunicare senza avere niente da dirsi.” Si tratta di frasi estrapolate da un discorso di uno dei tuoi amati, Aldo Busi. Che ne pensi? Avresti voglia di raccontarci un po’ di lui? Perché lo ritieni così importante per la letteratura moderna?

Al netto degli estremismi provocatori di Busi, non posso che essere d’accordo: a cosa serve il superfluo se manca il necessario? Cosa ce ne facciamo del progresso tecnologico a fronte del regresso intellettuale? Difficile condensare Busi e la sua grandezza in poche righe, parliamo del più grande scrittore italiano, l’unico in grado di scrivere otto capolavori e almeno un’altra ventina di libri strepitosi (se pensiamo anche ai grandi scrittori del passato, possiamo contare al massimo uno o due capolavori, il resto della produzione, seppur di altissimo livello, resta inferiore per tensione estetica), di utilizzare tutti i quasi trecentomila vocaboli dell’idioma italiano – a fronte dei circa trecento utilizzati dall’italiano medio – attraverso una lingua poderosa, proteiforme, scintillante e pastosa, ricca di vita e non solo di pensiero. Quando nell’84 uscì il suo romanzo d’esordio “Seminario sulla gioventù” – romanzo di formazione per sottrazione e distruzione di umanità e luoghi comuni – avvenne come una deflagrazione nel mondo letterario italiano e il personaggio di Barbino si impose come uno dei più iconoclasti e memorabili di sempre. A una lingua alta, colta, poetica e tersa si mischia una lingua rozza, bassa, sporca, perché metempsicosi e sugna possono coesistere nella stessa frase, i personaggi non parlano tutti allo stesso modo, come non lo fanno le persone nella realtà. È un elemento di rottura, alla lingua borghese della più tipica letteratura italiana, Busi contrappone quella viva e fremente della sua esistenza randagia, in giro per l’Europa. Come ama spesso ripetere, lui che è poliglotta, la prima lingua straniera che ha imparato è stata l’italiano, perché a casa sua si parlava solo il dialetto bresciano. Registro basso e registro alto, dunque, e quel periodare sinuoso, dilatato, caratterizzato da continue subordinate che lo rendono inimitabile e inconfondibile. Busi, che è anche voce critica di questo paese e che più volte è sceso in piazza a protestare per i diritti, soprattutto quelli altrui, è riuscito nella titanica impresa di fare ciò a cui ogni grande scrittore dovrebbe aspirare: spostare anche di uno spazio infinitesimale il punto di vista dell’uomo sul mondo.

Come ben conosci, MusicPhilò scorre dove c’è Arte e si occupa in principal modo di Musica. So che è una richiesta banale, perché potresti svilupparla all’infinito, ma se ti chiedessi di abbinare tre libri a tre dischi? Esiste la tua canzone preferita?

Altro che richiesta banale, è davvero una prova di forza, una scelta ardua. Vediamo:

Il Mephisto di Klaus Mann – La Valchiria di Richard Wagner

La delfina bizantina di Aldo Busi – La voce del padrone di Franco Battiato

Uccidi i tuoi amici di John Niven – Musica commerciale di Jake La Furia

Non riesco ad avere una canzone preferita in assoluto, c’è quella del momento, che cambia ogni volta. In questo, sono piuttosto umorale.

Ora ti infilo in un guaio. E che musica metteresti nei tuoi libri? Hai mai pensato a un musical, un’ambientazione a teatro per alcune tue opere?

Sai che in questo caso ho invece le idee abbastanza chiare? Seppur non vi siano duri e gangster nei miei libri, sceglierei il grandissimo Fred Buscaglione per la sua acuta ironia, velata di romanticismo, con cui è stato capace di raccontare gli spacconi, gli insicuri, le donne e la società. Un po’ quello che cerco di fare io. Inoltre il jazz è uno dei miei generi musicali preferiti e Buscaglione era anche un grande musicista.

Ho letto il tuo bellissimo omaggio a Guareschi. Quanto sono attuali ancora i suoi scritti e il suo pensiero?

Molto, come quelli di tutti i grandi scrittori, che riescono ad essere precursori e insieme sincronici al proprio tempo. Non solo il Mondo Piccolo è pressoché immutato nelle sue caratteristiche primordiali, ma lo è anche la società che non impara dai propri errori. E poi, lo sguardo di Guareschi è così unico che non invecchierà mai, lui le persone le capiva e sapeva leggerle per davvero. Oltre alla ormai leggendaria serie di Don Camillo e Peppone, invito alla lettura di romanzi come “Il marito in collegio” e “Il destino si chiama Clotilde” o di libri ibridi come “Lo Zibaldino” e il “Corrierino delle famiglie”, in cui racconta della gente comune, dei piccoli guai, della gente di casa sua per raccontare della gente di casa nostra.

Viviamo un mondo dove tanti credono che Il futuro dell’informazione siano solo i mass media “mainstream”, gli influencer e Wikipedia… Dove sono finiti gli storici e i libri? Ma, soprattutto, in che luogo sono precipitati la Storia, il discernimento del passato? Non si impara mai dagli errori?

Ha detto bene Walter Siti: questa è la subcultura del frammento. Tutto deve essere breve, immediato, semplice, decontestualizzato, alla portata di tutti. Chi vuole studiare, approfondire, imparare deve fare ricerca, perché quello che ci offrono – anzi, che ci impongono – non ha portata storica, civile né estetica. Dove sta il problema? Che prima dell’avvento di internet e, soprattutto, dei social network – la rivoluzione sociale più rapida della storia – chi non sapeva non parlava; adesso, pensano di poter prendere parte al dibattito pubblico semplicemente leggendo il riassunto del riassunto di una vicenda, ovviamente estrapolata dal contesto, su Facebook o Wikipedia o scegliendo a priori – e quindi attraverso né più né meno di un pregiudizio – il mass media di riferimento, escludendo il contraddittorio e qualsivoglia altra tesi, a maggior ragione se suffragata da documenti, prove, fatti e studio. Tutti si sentono in dovere di avere un’opinione su tutto e sono convinti di saperne di più di chi studia e si documenta, magari da una vita intera. Scambiano la parte per il tutto, l’idea che se ne fanno per la verità assoluta, e ogni cosa viene messa sullo stesso piano, come se non esistessero i fatti o, per quanto riguarda le forme artistiche, il giudizio di valore. Ecco, questo è nocivo e pericoloso tanto quanto affrontare il presente ignorando del tutto il nostro passato. Ecco perché non impariamo mai dai nostri errori, perché li cancelliamo, li dimentichiamo. Non considerandoli, cessano di esistere.

Ora parliamo di te. Raccontaci della tua storica attività di batterista e di questo tuo amore smisurato per l’arte, dalla visita continua a musei e monumenti della tua città ai viaggi in Italia e all’estero a cercar bellezza. Immagino la tua casa pervasa da tomi, riviste… insomma un Regno della Letteratura. Tua moglie e tua figlia assecondano le tue passioni?

Ho iniziato a studiare e suonare la batteria a 17 anni, ma sono stato assai più precoce nel rompere le scatole a tutti con pastelli, quaderni, mani e pentole, diciamo intorno ai 7/8 anni. Dal metal estremo della mia prima band fondata il 31 ottobre del 2000 con Michele Basso, un compagno del liceo (Caosphere poi Viscera, ancora attivi con una nuova line up) sono passato al funky rock e infine al jazz. Da diversi anni ho interrotto l’attività live, soprattutto per pigrizia, e mi dedico solo allo studio, ma non si sa mai. Il mio approccio all’arte, e più in generale alla vita, è quello dello studente: voglio conoscere, imparare, farmi insegnare, scoprire le curiosità e le meraviglie del mondo e, soprattutto, del nostro meraviglioso paese, partendo dalla mia città, Cremona, che ha avuto un passato glorioso. Amo le mostre, i musei, le visite guidate, che approccio con la curiosità del neofita e mai con la sicumera dell’esperto quale non sono. E i libri, ovviamente, di cui non potrei fare a meno. Ne possiedo tanti, ma non tantissimi, sono un po’ fissato con l’ordine e non riuscirei a sopportare volumi accatastati e fuori posto. Questo perché non sono un collezionista, bensì un lettore, e ho letto ogni singolo libro che possiedo nonché tanti altri che non ho più o che ho preso in prestito in biblioteca. Mi circondo di bellezza come uno scudo contro le brutture del mondo.

Io e mia moglie abbiamo iniziato a portare in giro nostra figlia che era piccola, dalle elementari in poi, le abbiamo fatto visitare città meravigliose (New York, Monaco di Baviera, Firenze, Pisa, Siena, Milano, Torino, Venezia, Como, Lecce, Otranto, Strasburgo, Parigi, solo per citarne alcune), musei e cattedrali da togliere il fiato. L’abbiamo fatta camminare molto, a volte forse anche troppo, per farle capire che a volte la lentezza ti consente di cogliere particolari e sfumature che altrimenti sfuggirebbero. Adesso che è adolescente è molto meno propensa alla scoperta e a questo genere di viaggi, ma sono certo che il seme è lì, pronto a germogliare di nuovo.

Ricordo ancora con piacere lo scambio “musicale” con cui è giunto un disco di Eric Clapton nella tua raccolta, mentre un album di Morgan ha arricchito la mia . Ebbene, non ti nascondo che pur cercando di essere sempre obiettivo e aperto a ogni ascolto, quella volta avevo un grosso pregiudizio nei confronti di tale autore. Poi, improvvisamente mi si è aperto un mondo e ho compreso la sua grandezza artistica. Ciò che sto esprimendo non è il voler convincere tutti di quanto Morgan sia grande, ma di come si sarebbe più coerenti e liberi se accettassimo con animo nobile di aver sbagliato un’opinione, consci che il processo vissuto è di pieno arricchimento e permette una forte condivisione di esperienze con l’altra persona…

Sono pienamente d’accordo. È solo dal confronto con persone curiose e preparate, come te per esempio, che possiamo arricchire la nostra vita: che piacere c’è nel guardare sempre al proprio ombelico senza imparare mai nulla di nuovo? Di Eric Clapton conoscevo ovviamente le canzoni più famose, parliamo di una leggenda vivente, ma non sapevo minimamente chi fosse Doyle Bramhall II, per esempio, né che l’omonimo padre fosse un gran batterista. E se non fosse stato per te, probabilmente non lo avrei mai saputo. Quanti dischi ho scoperto grazie alle tue recensioni e alle lezioni dello stesso Morgan, quanti libri grazie a Busi, Biondi e a altri scrittori miei amici, quante opere d’arte e curiosità storiche grazie alla mia ex prof. di italiano e latino (Chiara Persico) e alle ragazze e ai ragazzi del CrArt (Cremona Arte e Turismo). Viva il confronto e lo scambio di informazioni (non di opinioni, di quelle ce ne sono fin troppe)!

Pictura tacitum poema” è una frase attribuita a Cicerone. La pittura è una poesia silenziosa che parla a chi la sa ascoltare ma anche guardare con curiosità e desiderio di conoscere di più del passato. Tu ti nutri del passato per scrivere nel presente e ti tieni aggiornato sul presente per plasmare il tuo futuro: quali sono i tuoi prossimi progetti a tal proposito?

Grazie, Ale, hai colto alla perfezione il mio modus operandi e questo mi lusinga: credo che un aspetto non possa e non debba escludere l’altro, per me passato e presente sono strettamente legati, anche dal punto di vista narrativo. In questo momento, ho sottoposto il mio nuovo romanzo all’editore e sono in attesa di riscontro: si tratta di un giallo ironico e divertente, ambientato nel mio luogo di elezione, ossia il lago di Garda – e più precisamente la sponda occidentale – in cui racconto ancora una volta la provincia italiana e le sue contraddizioni. Lo stesso personaggio principale, un commissario di polizia vagamente somigliante a un Fred Buscaglione invecchiato e sovrappeso, amante del jazz e batterista amatoriale, è un antieroe a tutti gli effetti o, per dirla alla Musil: un uomo senza qualità.

È stata una piacevolissima chiacchierata, stimolante e arricchente, e te ne sono grato. Ad maiora!

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